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Def, Juncker boccia l’Italia: «Se non siamo rigidi, euro…

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EUROGRUPPO

Def, Juncker boccia l’Italia: «Se non siamo rigidi, euro a rischio». Tria: «Non sarà la fine della moneta unica»

«Il deficit del 2,4% per tre anni è una deviazione molto, molto significativa rispetto agli impegni presi dall'Italia». A dare fuoco alle polveri delle polemiche tra Bruxelles e Roma sulla Nota di aggiornamento al Def che il governo Conte si appresta a ufficializzare è il commissario Ue Pierre Moscovici, che all'Eurogruppo riunito in Lussemburgo usa parole che provocano l'allarme di mercati. Piazza Affari infatti gira in calo e chiude a -0,49%, mentre lo spread vola a 283 punti da 267. Non aiutano nè lo scetticismo del vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis, nè i timori del presidente della Commisisone Ue Jean-Claud Juncker, nonostante le rassicurazioni del nostro ministro dell'Economia Giovanni Tria. «L'Ue stia tranquilla, il debito-pil andrà giù», dice il ministro, in partenza in anticipo per Roma proprio per lavorare al Def da trasmettere al Parlamento.

Bilancio italiano sotto i riflettori
Anche se non era all’ordine del giorno, la scelta del governo M5s-Lega di non rispettare l’impegno a una correzione anche minima del deficit strutturale nel 2019, e di puntare su un aumento del deficit/pil nominale per tre anni al 2,4%, è dunque “entrata dalla finestra” della riunione dell’Eurogruppo, che si è svolta in Lussemburgo. È stato il ministro francese Bruno Le Maire a chiedere subito di aprire una discussione collettiva sulle scelte di bilancio italiane, richiesta immediatamente sostenuta dall’Olanda. Stando alle indicazioni fornite da fonti europee, il ministro dell’Economia Giovanni Tria, in difficoltà, ha illustrato la situazione italiana precisando che i negoziati in Italia sono ancora in corso e che è pronto a discutere con la Commissione «dopo» la definizione del progetto di bilancio e ad «ascoltare» le raccomandazioni comunitarie.

L’allarme di Moscovici sul nostro deficit al 2,4%
È stato il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici a ribattere che l’obiettivo del 2,4% apre una questione di rispetto del patto di stabilità. L’obiettivo di Tria era quello di capire se ci sono margini di manovra per l’Italia senza incappare nella bocciatura del progetto di bilancio e in una possibile procedura per mancato rispetto della riduzione del debito. La risposta della Commissione è stata duplice: sdrammatizzare la discussione, e confermare che l’obiettivo di deficit del governo porta dritto alla procedura e mette a rischio la stabilità dell’unione monetaria. «Il deficit del 2,4%, non solo per l’anno prossimo ma per tre anni, rappresenta una deviazione molto, molto significativa rispetto agli impegni presi dall’Italia», ha ricordato Moscovici a margine dell’Eurogruppo. «Aspettiamo la bozza di legge di stabilità» ma «a una prima vista» i piani di bilancio italiani «non sembrano compatibili con le regole del Patto», ha sottolineato Dombrovskis.

Juncker duro: «Trattamenti speciali portano alla fine dell'euro»
Al termine di una giornata densa di polmiche tutte incentrate sul “caso Italia”, la sintesi dell’atteggiamento europeo nei confronti della prima manovra del governo Conte si rispecchia nelle parole del presidente della Commissione Ue, Jean-Claud Juncker. «Se l'Italia vuole un trattamento particolare supplementare, questo vorrebbe dire la fine dell'euro. Bisogna essere molto rigidi», ha affermato Juncker in un intervento in Germania citato dai media internazionali, tra cui
Le Figaro e il New York Times. «L'Italia si allontana dagli obiettivi di bilancio che abbiamo approvato insieme a livello europeo», ha aggiunto.

La replica di Tria: «Non ci sarà nessuna fine dell'euro»
La risposta del ministro Tria alle parole preoccupate di Juncker arrivano a stretto giro. Il 2,4% del rapporto deficit/Pil prospettato dal governo (e ribadito in serata dal premier Conte nel corso di un incontro al Quirinale con il presidente Mattarella) «è un numero che non corrisponde esattamente ad alcune regole europee ma fa parte della normale dinamica europea, è sempre accaduto a molti Paesi nel corso degli ultimi decenni», ha spiegato il ministro sottolineando che «non ci sarà nessuna fine dell'euro». «Io non ho parlato con Juncker, ho parlato con Moscovici e Dombrovskis, sarà un'idea di Juncker», ha aggiunto Tria, ricordando ai giornalisti che i Paesi in regola con tutte le regole europee «sono pochissimi». E questo «non significa che non bisogna cercare di rispettarle», ma che «ci sono delle situazioni economiche in cui bisogna fare delle valutazioni».

«Se non vinciamo scommessa crescita cambieremo manovra»
Tria si è soffermato poi sul problema della qualità della manovra. Quella in preparazione a Palazzo Chigi «è di crescita, se vinciamo la scommessa della crescita tutto va bene, sennò cambieremo manovra come sempre bisogna fare». D'altra parte, ha spiegato Tria «tutte le strategie dei governi precedenti non hanno dato risultati quindi dobbiamo un po' cambiare: il debito ha continuato a crescere, la disoccupazione non si è ridotta, il tasso di crescita è rimasto sempre un punto sotto Ue. Noi puntiamo a colmare il gap con la Ue entro due anni».

Il ritorno a Roma di Tria e la virata in negativo di Piazza Affari
La notizia, che si è diffusa nel pomeriggio, che il ministro dell’Economia sarebbe rientrato anticipatamente a Roma, e soprattutto le parole di Moscovici, hanno determinato una virata in negativo a Piazza Affari, che ha chiuso in territorio negativo al termine di una seduta che ha visto il Ftse Mib tentare il rimbalzo e guadagnare oltre 1% in mattinata. Lo spread tra Btp e Bund è tornato ad allargarsi e ha chiuso in forte rialzo a 283 punti (da 267 di venerdì). Tria ha deciso di tornare a Roma, in anticipo rispetto alla consueta missione di due giorni che prevede per domani anche la riunione Ecofin, per chiudere il lavoro sulla nota di aggiornamento al Def prima della trasmissione al Parlamento. Il documento non è stato ancora trasmesso alle Camere né pubblicato. Domani all’Ecofin parteciperà il direttore generale del Tesoro Rivera.

Di Maio: rientro Tria già programmato,nessuna emergenza
Al termine di un incontro con i sindacati al Mise, il vicepremier Di Maio ha commentato il rientro anticipato di Tria dal Lussemburgo. «Credo fosse già programmato - ha spiegato -. Stiamo mettendo a punto gli ultimi dettagli del
Def, non c’è nessuna ragione di emergenza per cui debba
rientrare». Il leader pentastellato ha poi chiarito: «nei prossimi giorni ci saranno altri incontri» proprio per definire il Def con, tra gli altri, Salvini, Conte e Tria. «Non c’è nessuna motivazione per mettere in discussione il 2,4%» del rapporto deficit-pil, ha continuato il vicepremier. «Siamo tutti convinti, il governo è compatto. Se le agenzie rating ci declassano hanno un pregiudizio contro Governo», ha affermato.

«Moscovici si è svegliato e ha creato tensioni»
«C’è qualche istituzione europea che, con le sue dichiarazioni, gioca a fare terrorismo sui mercati», ha attaccato il pentastellato. «Stamattina a qualcuno non andava bene che lo spread non si fosse impennato. Moscovici, che non è italiano, si è svegliato e ha pensato bene di fare una dichiarazione contro l’Italia, contro il Def italiano e creare tensione sui mercati».

Manovra: Collegio commissari Ue ne discuterà il 2 ottobre
Il portavoce della Commissione Ue Margaritis Schinas ha spiegato che la manovra italiana, come «ogni cosa al cuore degli sviluppi politici ed economici, sarà discussa» domani, 2 ottobre, durante la riunione settimanale del Collegio dei commissari, nel quadro del dibattito in agenda sul nuovo round del semestre europeo che si apre ora. La riunione del Collegio, presieduta dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, sarà in concomitanza con la plenaria del Parlamento europeo, a Strasburgo.

Il ministro deve spiegare ai colleghi europei la scelta del 2,4%
Il ministro sperava di sedersi ai tavoli europei per far accettare un rapporto deficit/Pil non superiore all’1,6% e invece dovrà convincere i ministri finanziari degli altri paesi che lo sforamento al 2,4% per i prossimi tre anni sarà compensato da una maggiore crescita - come Tria ha sottolineato nell’intervista pubblicata su Il Sole 24 Ore domenica - e da quella che il vicepremier Luigi Di Maio ha definito «il più grande piano di investimenti della storia italiana». In particolare, il responsabile del Tesoro ha chiarito che l’obiettivo di crescita per il paese è l’1,6% per il prossimo anno e l’1,7% per il successivo, con una discesa del peso del debito di unn punto all’anno per i prossimi tre anni.

Sotto la lente il deficit strutturale
Il dibattito sul tetto del deficit rischia di far passare in secondo piano il vero indicatore che la Commissione europea andrà a guardare quando dovrà valutare la manovra italiana, e cioè il deficit strutturale. È sul saldo strutturale infatti che Bruxelles ha chiesto uno sforzo, o correzione, di almeno lo 0,3% per rispettare pienamente le regole. All’ultimo Ecofin informale a Vienna, sebbene non siano stati messi numeri nero su bianco, a Tria è stato recapitato un messaggio conciliante che andava incontro all’Italia il più possibile: anche uno sforzo minimo, ad esempio di 0,1%, potrebbe portare ad un rispetto accettabile delle regole. Fino a che livello possa salire il deficit nominale, rispettando allo stesso tempo quella riduzione richiesta del deficit strutturale, è difficile dirlo senza conoscere la composizione della spesa che sarà nella prossima manovra.

La strada stretta davanti a Tria
Perché, per definizione, il deficit strutturale dipende dalla spesa corrente, quello nominale anche dalle una tantum. Alzare il deficit nominale, in misura limitata come Bruxelles aveva fatto capire, non sarebbe quindi vietato a prescindere, ma con limiti ben al di sotto di quelli annunciati dal Governo. Bisognerebbe però allo stesso tempo trovare il modo di fare quegli interventi strutturali che facciano scendere il debito. Entrate una tantum, ad esempio, non sarebbero accettate dalla Commissione. Questa, per citare l’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, la “strada stretta” che Tria dovrà percorrere. La scelta di puntare sul 2,4% l’ha resa, inevitabilmente, ancora più stretta.

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