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Ema ad Amsterdam per Brexit, Canary Wharf chiede 320 milioni di danni

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L'Inchiesta |causa pilota nella city

Ema ad Amsterdam per Brexit, Canary Wharf chiede 320 milioni di danni

DAI NOSTRI INVIATI
AMSTERDAM - Comunque vada, il trasferimento dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) da Londra ad Amsterdam lascerà un segno indelebile per le tasche dei contribuenti europei o per il mercato immobiliare londinese. Il destino dell'Ema, mai come in questi mesi, si incrocia con la decisione del Regno Unito di abbandonare l’Unione europea e a tenere banco, questa volta, non sono le polemiche sull'assegnazione della sede all’Olanda o la scarsa trasparenza che ha portato Milano a perdere la partita, ma un aspro contenzioso legale che oppone l'Agenzia europea alla società Canary Wharf T1 Limited, che fa parte del colosso immobiliare Canary Wharf Group, posseduto al 50% dalla Qatar Investment Authority e al 50% da Brookfield Property Partners.

GUARDA IL VIDEO / Amsterdam confermata per l'Ema ma con paletti

Il gruppo, proprietario dell'immobile nel quale, al numero 30 di Churchill Place, ha attualmente sede l'Agenzia con i suoi circa 900 dipendenti distribuiti su 10 piani, ha chiamato in causa la stessa Ema che vorrebbe rescindere il contratto di affitto senza penali e dire addio così senza conseguenze al quartiere che finora l'ha ospitata.

L'udienza preliminare davanti all'Alta corte di giustizia inglese si è tenuta il 19 settembre e la decisione sarà presa entro gennaio e dunque, al massimo, due mesi prima della Brexit, fissata al 29 marzo 2019.

Nella contesa non entrano, però, solo i 320 milioni di affitto (tasse escluse) da qui al 2039 a carico dell'Agenzia, insediatasi a Londra nel 2014, che Canary Wharf reclama. Il giudizio, infatti, influenzerà il futuro immobiliare della capitale inglese o, in alternativa, peserà sul bilancio dell'Unione europea e dunque, in definitiva, sulle tasche di tutti i contribuenti.

Diversa invece la situazione per Eba - l'Autorità bancaria europea che si trasferirà dal prossimo anno da Londra a Parigi - la quale ha sottoscritto una clausola che le consente di poter lasciare, per la fine del 2020, lo stabile che attualmente occupa, dietro pagamento di una penale di circa tre milioni di euro.

Le ragioni dell’Ema
Ema sostiene che l'Agenzia, organo dell'Unione europea, non può rimanere in uno Stato che non ne faccia più parte. La decisione della Gran Bretagna di uscire dalla Ue deve essere dunque considerata una causa di forza maggiore che determina la fine, senza conseguenze, del contratto di locazione.
Secondo i legali dell'Ema l'imprevedibilità della Brexit permetterebbe la rescissione del contratto di affitto in base al principio del “frustration of contract”, secondo il quale un accordo contrattuale può essere annullato quando un evento che si verifica successivamente alla stipula rende fisicamente o commercialmente impossibile adempiervi o trasforma l'obbligo di esecuzione del contratto in un obbligo sostanzialmente diverso da quello assunto al momento iniziale della stipula.

Il nobile precedente
Il collegio legale dell'Ema porterà un precedente storico a sostegno della propria tesi: la causa Krell versus Henry del 1903, che sfociò proprio nella cosiddetta “frustration of contract”.

Edoardo VII doveva essere incoronato e per l'occasione vennero programmati due intensi giorni di festeggiamenti. Paul Krell locò da C.S. Henry una stanza con una finestra che si affacciava sulla strada lungo la quale sarebbe passato il corteo regale. Lo scopo della locazione era evidente ad ambo le parti, che ritennero superfluo inserirlo nel contratto stipulato. Il conduttore si impegnò a versare subito una parte del prezzo e il saldo al termine della sfilata. Ma il re si ammalò e la sfilata venne rinviata.

Il locatore pretese la parte rimanente del canone e agì in giudizio per ottenerla, viste le resistenze del locatario. La Corte respinse le pretese di Henry, poiché la presunzione della sfilata era alla base del contratto e il suo mancato epilogo portava alla risoluzione del contratto stesso. Oggi quei pochi media inglesi che trattano dello spinoso argomento del trasferimento dell'Ema, liquidano il contenzioso con il gruppo immobiliare ricordando che «l'appendicite del re non era colpa degli uomini», visto che fu proprio un'improvvisa infiammazione dell'appendice a impedirne la sfilata.

Le ragioni di Canary Wharf
I legali del gruppo immobiliare londinese sostengono invece che la Brexit è un evento del tutto prevedibile in virtù dell'esistenza dell'articolo 50 del trattato sull'Unione europea (che stabilisce che ogni Stato membro può decidere di ritirarsi dall'Unione europea) e chiedono alla Corte di giustizia certezze sull'adempimento del contratto di locazione.

Se la sentenza, che dovrebbe essere pronunciata a Brexit ancora non formalmente avvenuta, dovesse far prevalere le ragioni di Ema, avrebbe forti conseguenze per l'intero mercato immobiliare del Regno Unito. A dichiararlo in udienza il 16 settembre è stato Joanne Wicks, avvocato di Canary Wharf T1 Ltd. «Cosa accadrebbe se per fermare un'azienda manifatturiera che utilizza sistemi logistici oltre i confini nazionali si dicesse: “Il contratto di locazione è stato frustrato dalla Brexit?”», ha detto Wicks nel corso dell'udienza.
«Abbiamo lavorato con Ema per nove mesi alla ricerca della soluzione del problema», ha dichiarato sempre in udienza un portavoce del gruppo. Ma non c'è stata evidentemente alcuna scelta condivisa.

La Brexit sta portando molte banche d'affari e molte istituzioni finanziarie a mettere in discussione lo spazio di cui hanno bisogno a Londra, mentre altri gruppi hanno già ridotto gli uffici presi in affitto.

Ad aver già spostato parte dei propri dipendenti o ad aver annunciato un imminente trasloco sono molte banche commerciali e d'affari presenti nella City di Londra, come Ubs, Credit Suisse, Hsbc e Deutsche Bank. Ma anche Barclays, Jp Morgan, Bank of America, Citigroup, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Nomura. Molte di loro si trasferiranno a Francoforte. Tra le multinazionali spicca Panasonic, che ha annunciato il trasferimento ad Amsterdam.

Banche e società potrebbero dunque chiamare in causa lo Stato inglese e perfino la Commissione e il Consiglio europeo per il riconoscimento di quello che viene chiamato “risarcimento del danno per atto lecito”. E c'è già chi richiama in tal senso una sentenza della Corte di giustizia europea (quinta sezione).

Una decisione del giudice inglese a gennaio del prossimo anno in senso contrario comporterebbe che i costi derivanti dall'obbligo del pagamento della locazione, o di una eventuale sanzione, ricadrebbero sul contribuente europeo, anche se la questione di chi dovrebbe sostenere il costo del trasferimento dell'Autorità europea per i medicinali e dell'Autorità bancaria europea (anch'essa ospitata nel quartiere degli affari londinese Canary Wharf) fa parte dei negoziati di Brexit. Finora, però, non è stata presa alcuna decisione al riguardo.

Marcus Smith, il giudice chiamato a pronunciare la sentenza, che fa parte dell'Alta corte di giustizia inglese dal 12 gennaio 2017, avrà dunque un compito arduo, ipoteticamente sempre in attesa di una decisione definitiva sul trasferimento della sede da Londra ad Amsterdam.

L’iniziativa del Governo italiano
Il Governo italiano, dal canto suo, ha deciso di fare il punto sul trasferimento dell'Agenzia del farmaco da Londra ad Amsterdam, a partire dalle criticità che stanno emergendo nelle ultime ore. Si terrà, infatti, domani pomeriggio una riunione di coordinamento tra ministero degli Esteri, Salute, Avvocatura dello Stato, Regione Lombardia e Comune di Milano presso il gabinetto del ministro Enzo Moavero Milanesi (consulente del precedente Governo proprio per la questione Ema) per valutare il seguito delle cause davanti alla Corte di giustizia europea.

Riguardo alla richiesta di annullamento della decisione del Consiglio europeo che ha scelto Amsterdam, nel giudizio davanti alla Corte europea di giustizia promosso dal Comune di Milano (seguito dall'avvocato Francesco Sciaudone), la Corte ha al momento deciso di rinviare ogni decisione sull'eccezione di irricevibilità del ricorso formulata dal Consiglio, al giudizio di merito e quindi alla sentenza definitiva.

Anche il Governo italiano ha promosso un analogo ricorso davanti alla Corte europea di giustizia contro la decisione del Consiglio.

In questo periodo le istituzioni e le imprese italiane non hanno abbandonato le pur ridotte speranze di portare la sede dell'Agenzia del farmaco in Italia.
Il 18 giugno la cabina di regia che ha sostenuto la candidatura di Milano a sede dell'Ema ha scritto, tra gli altri, al capo del Governo Giuseppe Conte e ai ministri della Salute e per gli Affari europei allegando, tra i documenti, anche il parere pro veritate di Takis Tridimas, docente al King's College di Londra e al Collegio d'Europa di Bruges, che ha esposto gli elementi di criticità della procedura di assegnazione che ha penalizzato Milano.

La reazione del mondo delle imprese
«Le criticità emerse dall'interessante e approfondita inchiesta del Sole 24 Ore non mi sorprendono - afferma Diana Bracco, che nella lunga campagna a sostegno della candidatura di Milano come sede dell'Ema rappresentava nella cabina di regia il sistema camerale e l'intero mondo dell'industria -. Ciò che sospettavamo sta emergendo con chiarezza: mentre Milano metteva a disposizione una sede prestigiosa e subito operativa, Amsterdam dimostra di avere ancora difficoltà e di non rappresentare la soluzione ideale per gli stessi dipendenti Ema. Leggo, infatti, che sono previsti dei tagli alle attività dell'Agenzia perché perderà più personale di quanto inizialmente previsto nel trasferimento. Cosa particolarmente grave perché ricordo che la farmacovigilanza è essenziale per il benessere e la sicurezza dei cittadini europei. Saluto, pertanto, con soddisfazione la notizia che alla Farnesina si terrà a breve una riunione per discutere sullo stato di avanzamento dei ricorsi italiani»”.

La questione dell'Ema appare ancor più interessante se si pensa che il cosiddetto trilogo a suo tempo avviato tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo non ha ancora ad oggi trovato soluzione e quindi il mancato coinvolgimento del Parlamento europeo nella individuazione della sede definitiva continua a essere un elemento di forte discussione politica a Bruxelles.

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