A copertura della legge di bilancio arriverà dal taglio delle pensioni d'oro un miliardo in tre anni, avrebbe deciso la maggioranza gialloverde. Al di là di quella che sarà la decisione finale dell’esecutivo, se inserire o meno la misura nel collegato alla manovra, rimane che il modo in cui verrà effettuato il prelievo, se esso avrà natura permanente o temporanea e da quale soglia scatterà, ovviamente, non è noto.
Nodo retroattività al centro delle audizioni
L'estate se n’è andata in tentativi di analisi della proposta di legge D'Uva-Molinari (atto Camera 1071) che prevede una specie
di “correzione attuariale” sugli assegni superiori a 4.500 euro netti al mese per “cancellare il privilegio”. Le audizioni
che si sono concluse la scorsa settimana in commissione Lavoro non sono state positive per i proponenti: tutti i soggetti
ascoltati, tecnici, sindacati, esponenti istituzionali o rappresentanti di professionisti o dirigenti hanno bollato il progetto
come iniquo ma, soprattutto, incostituzionale perché di carattere retroattivo.
Il presidente dell'Inps, Tito Boeri, al di là delle considerazioni tecniche sulla metodologia adottata per la “correzione attuariale”, ha spiegato che la misura riguarderebbe circa 30mila pensionati e potrebbe garantire una riduzione di spesa di circa 150 milioni di euro se si considerasse il reddito pensionistico complessivo degli interessati, con tagli variabili tra il massimo del 23% e una media dell'8 per cento. Altri osservatori tecnici hanno parlato di risparmi per 300 milioni di euro. Per arrivare a un miliardo l'anno (sempre che questa sia la posta, vale ripetersi) serve molto di più e nelle indiscrezioni delle ultime ore si è tornato a vociferare di prelievi di solidarietà o blocchi dell'indicizzazione all'inflazione, misure già utilizzate negli ultimi anni e bocciate dalla Corte costituzionale.
Scelta per far cassa che non incide sui “privilegi”
È stato calcolato che l'insieme delle pensioni attualmente in pagamento ha un valore finanziario superiore del 20-25% rispetto
al valore dei contributi versati dai percettori durante la loro vita lavorativa. Le cause sono diverse e spaziano dal sistema
di calcolo retributivo più generoso, che abbiamo avuto fino alla metà degli anni Novanta, alla lunga transizione voluta per
passare al contributivo per tutti (scattato solo nel 2012) fino alla longevità dei pensionati (diretti e indiretti, con la
reversibilità) che godono dell'assegno Inps per molti più anni di quelli che sarebbero stati coperti con i contributi versati.
Quello “squilibrio contributivo” si riduce però a poco più del 5% per le pensioni più elevate, poiché il nostro sistema prevede
rendimenti decrescenti sulle contribuzioni più elevate. Tagliare le pensioni più elevate può dunque aiutare (poco) a far cassa,
ma non cancella nemmeno lontanamente il problema dei cosiddetti “privilegi” che rischiano di far saltare il patto intergenerazionale
che deve essere alla base di un sistema previdenziale a ripartizione, nel quale i contributi dei lavoratori servono per pagare
una parte (60%, il resto lo mette lo Stato) delle pensioni correnti.
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