Mimmo Lucano non è più agli arresti domiciliari. Il Tribunale del Riesame ha deciso, accogliendo solo in parte il ricorso dei suoi avvocati Andrea D’Acqua e Antonio Mazzone, di sostituire la misura cautelare con il divieto di dimora nel comune di Riace. Di nuovo libero ma fuori dal suo paese. «Un confino, un esilio», ha commentato.
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Nell’udienza di martedì 16 ottobre la difesa ha cercato di smontare le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento dei servizi della raccolta differenziata contenute nell’ordinanza di 132 pagine firmata dal Gip di Locri Domenico di Croce.
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La compagna con obbligo di firma
Nell’udienza, prima del sindaco è stata sentita la sua compagna Tesfahun Lemlem, difesa dall’avvocato Lorenzo Trucco: è indagata
per concorso nel reato di immigrazione clandestina. Dal 2 ottobre le era fatto divieto di dimora nel borgo dell’accoglienza.
Da oggi torna a Riace ma con l’obbligo di fima.
Dal tribunale di Reggio Calabria Lucano è uscito con un sorriso, dichiarandosi soddisfatto di quanto riferito ai giudici. Ma mercoledì 17 prevale l’amarezza per essere stato allontanato da Riace («Un impedimento politico?», si chiede Lucano).
Lucano, «L’accoglienza ce la facciamo da soli»
Al trasferimento dei migranti disposto dal ministero dell’Interno, insieme alla richiesta di rendicontazione delle spese e
all’eventuale restituzione dei fondi erogati, per le «palesi irregolarità» accertate nella gestione dello Sprar, Lucano ha
risposto annunciando ricorso al Tar («considerati gli aspetti minori e formali su cui si è soffermato il Viminale», come specificato
dagli avvocati dell’Associazione giuristi per l’immigrazione Lorenzo Trucco e Gianfranco Schiavone che impugneranno l’atto).
E anticipa di esser pronto a continuare la sua esperienza facendo a meno dei finanziamenti pubblici. «L’accoglienza ce la
facciamo da soli, fuori dagli Sprar» ha dichiarato. Ma poi un po’ si pente:« Forse ho sbagliato ad averlo detto?».
Un nuovo sistema fuori dallo Sprar?
A sostenerlo da subito c’è Recosol, la Rete dei comuni solidali. Chiara Sasso, una delle coordinatrici, autrice di due libri su Riace, segue la realtà calabrese dal 2004: «Ho visto negli
anni nascere, crescere e fiorire un borgo fantasma, riaprire botteghe, uffici e scuole. Le discariche trasformarsi in giardini.
Questa esperienza non può morire – aggiunge – prevediamo di organizzare un nuovo sistema di accoglienza spontanea, che farà
tesoro dell’esperienza maturata fino a oggi, partendo, per cominciare, da un grande sostegno esterno da parte di una comunità
internazionale, da una legge regionale del 2009 sulla tutela del diritto d’asilo, da iniziative che possano rimettere in moto
l’economia del territorio, dalle botteghe all’agricoltura, al turismo dell’accoglienza. Del resto Riace è già un brand».
La dimensione politica della vicenda
Il presidente della Regione Calabria Mario Oliverio, che da sempre è vicino a Mimmo Lucano, non perde di vista però anche la dimensione politica della vicenda: «È impensabile
rinunciare all’esperienza dello Sprar, molti la riconoscono come un modello efficace di accoglienza e di integrazione. Il
modello Riace va salvato, corretti difetti e criticità, magari integrato e rafforzato. Esiste forse un’alternativa?». Questo
in fondo è quanto sostiene anche il prefetto Mario Morcone, presidente del Consiglio italiano per i rifugiati, ex direttore del dipartimento che si occupava dei richiedenti asilo e
capo di gabinetto del ministro Marco Minniti.
Proprio di Morcone parlava Lucano fuori dal tribunale di Reggio Calabria, ricordando una telefonata dell’agosto di qualche
anno fa: «Il prefetto mi ha chiamato. Ho 400 persone da sistemare, posso mandarli a Riace? mi chiese. E noi ci siamo riuniti
e abbiamo dato la nostra disponibilità per 300 di loro. Se non avessi fatto affidamenti diretti come avremmo affrontato le
emergenze? È per questo che oggi sono un criminale?».
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