Nella legge di Bilancio la sezione dedicata ai Comuni è piena di norme. C’è la riforma del pareggio di bilancio che libera a regime i risparmi degli anni precedenti, attesa da anni. C’è l’avvio del fondo per gli investimenti, per rianimare una spesa ormai ridotta al lumicino. E ci sono il ripescaggio, parziale, del bando periferie e la rinegoziazione almeno dei mutui più vecchi, quelli pre-2003 passati al Mef. Ma è lungo anche l’elenco delle assenze. Che secondo i primi calcoli dei sindaci valgono oltre un miliardo di euro di “tagli ombra” o di compensazioni mancate. Tutti sulla spesa corrente, per ora sacrificata dietro all’attenzione concentrata sugli investimenti. Ma dal 1° gennaio è in calendario anche lo sblocco delle addizionali. E l’incrocio si fa pericoloso.
La finanza locale negli anni si è complicata. E nasconde dietro a incroci di norme o a fredde etichette tecniche effetti concreti sui bilanci. Il primo vale 563,4 milioni all’anno. È un taglio avviato dal decreto Renzi dell’aprile 2014, quello che ha introdotto il bonus da 80 euro coinvolgendo anche Regioni ed enti locali nella ricerca delle coperture. Il taglio era in programma per tre anni, le manovre successive l’hanno allungato fino al 2018. Dall’anno prossimo decade. Ma in manovra i 563,4 milioni per far risalire i fondi comunali non ci sono.
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Sul punto è partito un conflitto interpretativo fra sindaci e ministero dell’Economia, perché nel frattempo è stato rideterminato il fondo di solidarietà comunale fissandone la cifra complessiva. Questa operazione, lamentano però gli amministratori locali, è stata fatta quando il taglio era in vigore. E dall’anno prossimo non dovrebbe esserci più.
Fondo Tasi, partita da 300 milioni
C’è poi una seconda partita, che vale 300 milioni e interessa 1.800 Comuni. È quella del Fondo Tasi, nato anche lui nel 2014 per far quadrare i conti del passaggio dall’Imu alla Tasi negli enti che si erano allontanati dall’aliquota
standard sull’abitazione principale. Il fondo si è via via alleggerito, dai 640 milioni del primo anno ai 300 del 2018. Per
l’anno prossimo non se ne parla.
Ma non è tutto. La riforma dei conti locali ha imposto ai sindaci di accantonare ogni anno una quota di risorse proporzionale alle entrate che non riescono ad incassare. Si crea così un fondo di garanzia sui «crediti di dubbia esigibilità», pensato per evitare sorprese in arrivo dai buchi della riscossione. Oggi il meccanismo “congela” poco più di 4 miliardi di euro all’anno, e nel 2019 la quota di accantonamento deve crescere ancora (dal 75% all’85% delle mancate riscossioni calcolate sulla media degli ultimi cinque anni). Non si tratta di un taglio vero e proprio. I soldi (intorno ai 100-200 milioni in più il prossimo anno) rimangono nella disponibilità delle amministrazioni. Che però non le possono spendere.
Anche se la fase di preparazione è stata quest’anno particolarmente complicata, il confronto sulla manovra è appena cominciato.
Ed è facile prevedere che su tutti questi temi il confronto fra sindaci e governo sarà acceso.
Ma c’è di più. La legge di Bilancio mette da parte 1,1 miliardi di euro per il rinnovo dei contratti degli statali. I Comuni devono provvedere con fondi loro, in una misura proporzionale agli stanziamenti della Pubblica amministrazione centrale che sarà misurata da un decreto. Sono altre risorse che vengono bloccate obbligatoriamente, e che riducono gli spazi di spesa per tutto il resto.
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