La politica, diceva il “cancelliere di ferro” Otto von Bismark, è l’arte del possibile. E il possibile è spesso sinonimo di mediazione, come dimostra la faticosa opera con cui è alle prese in queste ore Giuseppe Conte, a capo di un governo in cui, nonostante la stipula di un contratto, le divergenze tra le due forze politiche di maggioranza sono sempre all’ordine del giorno.
Il rimando alla funzione di mediazione che gli riconosce la Costituzione
Una convinzione che nasce dall’esperienza di governo e che lo ha visto, in alcune situazioni particolarmente complesse, prendere
l’iniziativa della trattativa, talvolta agitando davanti agli occhi dei due litiganti, Lega e Cinque Stelle, lo spettro di
un suo ritorno alla vita di professore di diritto privato. Dalle aspre divisioni emerse su temi quali il condono fiscale -
è il caso della “manina” che avrebbe modificato il testo licenziato dal Consiglio dei ministri, nel passaggio del provvedimento
verso il Colle - al pressing per far dichiarare ai due azionisti di maggioranza del suo esecutivo, Luigi Di Maio e Matteo
Salvini, che l’Italia non intende uscire dalla moneta unica. Fino al braccio di ferro di queste ore tra M5s e Lega sui termini
della prescrizione. Insomma, con il passare dei giorni il presidente del Consiglio ha ritenuto opportuno rimettere in chiaro,
a chi se lo fosse dimenticato o tendesse a farlo, i compiti e le funzioni che la Costituzione, all’articolo 95, riconosce
al capo del Governo: «Dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico
ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri».
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Una strategia che ha preso sempre più forma
Riferimento che, in questi giorni vissuti dal punto di vista politico sull’ottovolante, tra una partita con Bruxelles sul
2,4% del rapporto deficit Pil nel 2019 e una, all’interno dell’esecutivo, tra le riforme da inserire in manovra, in primis
reddito di cittadinanza e superamento della Fornero sulla base di quota 100, suona a Conte più attuale che mai. Di qui la
scelta dell’”avvocato del popolo” di “rompere il ghiaccio” rispetto ai giorni immediatamente successivi alla nascita del suo
esecutivo e di assumere sempre di più quel ruolo di mediatore che le turbolenze continue nella maggioranza giallo verde richiedono.
La denuncia di Di Maio: decreto fiscale manipolato da una manina
Il ruolo di mediatore traspare in alcuni passaggi recenti. Il primo: mercoledì 17 ottobre. Il governo sfiora la crisi sul
dl fisco. Davanti alle telecamere di Porta a Porta, il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio denuncia: il testo della “Pace
fiscale” che è arrivato al Quirinale, dopo il via libera del consiglio dei ministri, è stato manipolato. Nel testo trasmesso
alla presidenza della Repubblica ma non accordato dal Consiglio dei Ministri, continua Di Maio, «c’è sia lo scudo fiscale
sia la non punibilità per chi evade. Non ho mai detto che si volevano aiutare i capitali mafiosi. Non so se una manina politica
o una manina tecnica, in ogni caso domattina si deposita subito una denuncia alla Procura della Repubblica perchè non è possibile
che vada al Quirinale un testo manipolato!».
Le scintille tra Cinque Stelle e Lega. Scatta la mediazione di Conte
Il vicepremier pentastellato chiede di cassare la depenalizzazione del riciclaggio dal decreto legge collegato alla manovra,
perché se applicata ai capitali all’estero rischia di far ripulire proventi mafiosi. La Lega replica che senza depenalizzazione
tanto vale togliere di mezzo la misura, perché nessuno aderirebbe. Il M5S chiede un nuovo consiglio dei ministri ma per la
Lega ogni nuovo vertice è inutile. Scatta la mediazione di Conte, che ufficialmente declassa la questione a «problema tecnico» e assicura che non solo la «maggioranza
è solida», ma anche «responsabile», Insomma, «si farà una sintesi».
Il premier minaccia di dimettersi
Ufficiosamente la posizione del premier è un po’ diversa. Fonti vicine al capo del Governo lo descrivono profondamente irritato
con i suoi vicepremier fino al punto di mettere sul tavolo la minaccia delle dimissioni. Conte sente Di Maio e Giancarlo Giorgetti,
luogotenente di Salvini (con cui scambia qualche sms), intimando loro di chiarirsi. Ma accuse, veleni, dossier incrociati
sono una fiumana inarrestabile.
Alla fine l’accordo sul provvedimento arriva: passo indietro del Carroccio
La decisione del premier di alzare i toni, e di non escludere un suo passo indietro, sblocca l’impasse. Alla fine il nuovo
Consiglio dei ministri si fa, e l’accordo sul decreto fiscale arriva. Il governo non vacilla ma va avanti: ricompone lo scontro
nato sulla prima stesura del testo e concorda su una nuova versione “light” del condono. Esce dal provvedimento il «condono
tombale-penale» - per dirla con le parole di Di Maio - con lo «scudo per i capitali all’estero». Si asseconda così il pressing
del Movimento 5 Stelle. Ma la Lega porta a casa che presto il condono si allargherà alle cartelle di Equitalia. Ma non per
tutti. Solo per chi potrà dimostrare di non aver pagato per oggettive difficoltà economiche. Si potrà così, sintetizza il
presidente del Consiglio, mantenere fede a una delle “promesse” del contratto gialloverde che rischiava di rimanere sulla
carta.
Pressing del premier: i due vicepremier escludono uscita dall’euro
L’intesa viene resa ufficiale nella conferenza stampa che si tiene a Palazzo Chigi sabato 20 ottobre, al termine del Consiglio
dei ministri. Siamo all’indomani del downgrade di Moody’s. Conte e i due vicepremier si presentano davanti ai giornalisti
da soli, senza il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Da una parte confermano il 2,4% del rapporto tra deficit e Pil nel
2019. Dall’altra lanciano messaggi di apertura alla Commissione europea. E avviene quello per cui da tempo Conte lavora: una
dichiarazione congiunta dei due vicepremier che tranquillizzi i mercati e rassereni Bruxelles sulla volontà dell’Italia di
non uscire dall’euro. «Non c’è alcun proposito di uscire dall’Ue o dalla moneta unica», ripetono a turno i tre.
La presa di distanza da Grillo, garante della parte politica che lo ha scelto
Il giorno dopo, domenica 21 ottobre: Conte veste ancora il ruolo del mediatore. Questa volta tra il governo che presiede e
il presidente della Repubblica. Il padre fondatore M5s, Beppe Grillo, interviene dal palco di “Italia 5 Stelle”, la manifestazione
organizzata dai pentastellati al Circo Massimo. Arriva dal comico una stoccata verso la presidenza della Repubblica: «Dovremmo
togliere i poteri al capo dello Stato, dovremmo riformarlo», attacca il garante del Movimento dopo essersi lamentato dell’esistenza
di un reato come il vilipendio, «cose dell’Ottocento», e in cui lui stesso è incappato. Pochi minuti dopo, alla kermesse interviene
Conte, che prende le distanze dal padre del M5s - parte politica di cui il presidente del Consiglio è espressione - e rallegrandosi
pubblicamente per l’invito e il calore ricevuto dalle persone che hanno partecipato alla manifestazione, ringrazia solo un
padrone di casa, Luigi Di Maio, ignorando Grillo. Il giorno dopo, il premier torna sull’incidente: «Le dichiarazioni di ieri
impegnano chi le ha fatte: anche il M5s ha prontamente dichiarato che quelle sul capo dello Stato sono posizioni personali
di Grillo che non coinvolgono affatto il M5s o un manifesto politico. Non c’è nulla del genere nel contratto di governo».
Lo dice incontrando la stampa estera. «C’è stata una mia conversazione col presidente della Repubblica - aggiunge -, abbiamo
anche commentato ma il presidente era molto sereno. Non montiamo polemiche inutili».
Il sì dell’esecutivo al Tap lacera i Cinque Stelle. Il premier: date la colpa a me
Una settimana dopo, il premier prende ancora una posizione. E cerca di mediare tra il vertice M5s e gli attivisti del Movimento
che non hanno digerito la decisione del governo di confermare la realizzazione del Tap, il gasdotto che porterà in provincia
di Lecce il gas naturale del Mar Caspio, dopo che alcuni esponenti pentastellati avevano annunciato in campagna elettorale
lo stop alla pipeline. Contro la ribellione interna al M5S torna in campo Giuseppe Conte che accusa «chi sostiene che lo Stato
italiano non sopporterebbe alcun costo o costi modesti» di non «possedere le più elementari cognizioni giuridiche», ribadisce
il rischio di risarcimenti «monstre» in caso di stop al progetto. Si tratta di «pretese risarcitorie - scrive il premier in
una lettera aperta ai cittadini di Melendugno - dei vari soggetti coinvolti nella realizzazione dell’opera e che hanno fatto
affidamento su di essa». Fino a 35 miliardi, secondo Conte, che ci mette la faccia e difende il MoVimento: «Date la colpa
a me», dice, «i parlamentari non c’entrano».
Il messaggio a Salvini: «Sono io che tratto con l’Ue»
Il ruolo del mediatore implica anche quello di ribadire i ruolo che ciascuno ricopre nel Governo. Salvini annuncia che l’8
dicembre la Lega sarà in piazza a Roma per sostenere lo slogan: “Prima gli italiani”. E Conte fa sentire la sua voce. «I leader
politici organizzano manifestazioni che rientrano nella fisiologia del dibattito politico, della dialettica, anche vivace,
ma come presidente del Consiglio - sottolinea - interloquisco io con le istituzioni europee, mi siedo io al tavolo delle trattative
e caratterizzo io il tono di questa interlocuzione».
Lo scontro tra Lega e M5s: il nodo della prescrizione. Ancora una mediazione
La mediazione continua frenetica in queste ore. Ieri sera, Conte ha avuto un faccia a faccia con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Oggetto dell’incontro il nodo della prescrizione sul quale si sta consumando l’ultimo scontro tra M5S e Lega. Il vertice
è stato interlocutorio visto che, a quanto si apprende da fonti di governo, Conte e Bonafede si sono aggiornati al rientro
in Italia di Salvini e Di Maio. Il primo deve tornare da una visita in Ghana; il secondo dalla Cina. Il leader del M5S, rispetto
al suo alleato, tornerà in Italia più tardi: il suo rientro è previsto per questa sera. Il vertice decisivo, tra Conte e i
due vicepremier, a questo punto potrebbe tenersi domani pomeriggio, a Palazzo Chigi. Nelle Commissioni Affari costituzionali
e Giustizia della Camera, che stanno esaminando il ddl anticorruzione, è stallo. Fonti vicine al presidente del Consiglio
parlano di telefonate continue del professore con la Cina e il Ghana. Si annunciano altre ore di trattative. Il premier è
atteso dall’ennesima mediazione. Non è la prima. E, probabilmente, non sarà l’ultima.
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