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Due anni e cinque mesi: il «calvario» di Virginia Raggi alla…

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Servizio |oggi il verdetto del tribunale sulla sindaca

Due anni e cinque mesi: il «calvario» di Virginia Raggi alla guida di Roma

«Diciamoci la verità, è stato un calvario». Un esponente del M5S, dietro la garanzia di anonimato, risponde così alla richiesta di tracciare un bilancio di questi due anni e cinque mesi di amministrazione Raggi. Comunque andrà, e i più confidano in un’assoluzione, il Movimento arriva fiaccato all’appuntamento di domani, quando il tribunale di Roma dovrà stabilire se la sindaca ha commesso falso documentale in relazione alla nomina di Renato Marra, fratello dell’ex fedelissimo Raffaele, a capo del dipartimento per il turismo del Comune. Roma doveva essere il fiore all’occhiello dei Cinque Stelle, ma il «vento del cambiamento» finora ha prodotto caos. E nessun risultato visibile: la città veleggia tra continue emergenze rifiuti, un sistema di trasporto ridotto al lumicino, sofferenze evidenti nella manutenzione del verde e delle strade. E nessuna visione per il futuro.

L’esordio al vetriolo sulle nomine
Le difficoltà per Virginia Raggi erano cominciate subito. L’ebbrezza per la vittoria al ballottaggio del 19 giugno 2016 con il 67% dei voti, quando i pentastellati brindavano alla «serata storica per Roma e per l’Italia», era durata pochissimo. Il primo scoglio sono state proprio le nomine, “croce” della sindaca. Che era partita nominando Daniele Frongia capo di gabinetto e Raffaele Marra suo “vice” ed era stata costretta velocemente a fare dietrofront. Complici proprio le tensioni su Marra, poi arrestato per corruzione in relazione a vicende precedenti e definito oggi in udienza dalla ex capo di gabinetto succeduta a Frongia, la magistrata Carla Romana Raineri, come «il consigliere privilegiato del sindaco». Il «Rasputin», questo il paragone di Raineri, di «una zarina debole».

Il mini-direttorio e il progressivo isolamento
Il cordone intorno alla sindaca creato con il mini-direttorio - di cui originariamente facevano parte Roberta Lombardi, che a Raggi non ha mai risparmiato critiche, Fabio Massimo Castaldo, Paola Taverna e Gianluca Perilli - sarebbe franato da lì a settembre proprio per i contrasti sulle scelte di Raggi e sulla sua ristretta cerchia di collaboratori: i «quattro amici al bar», come si definivano nelle chat agli atti delle indagini. Raggi e il «raggio magico»: Frongia, Marra e Romeo. Proprio quest’ultimo, Salvatore Romeo, funzionario comunale vicino al M5S, era stato nominato ad agosto 2016 capo segreteria, con stipendio triplicato. Per quel passo la sindaca è stata poi accusata di abuso d’ufficio, ma il Gip a febbraio 2018 ha deciso di archiviare l’inchiesta. Costata alla sindaca «più di un anno di schizzi di fango», come lei stessa ha salutato la pronuncia, alludendo anche alla vicenda delle polizze regalate da Romeo a Raggi. Più in generale, l’esperienza romana è stata contrassegnata da periodici momenti di tensione tra il gruppo locale e i “dirigenti nazionali” del M5S. I vertici, a partire da Di Maio, hanno sempre blindato la sindaca. Ma lo scollamento è stato progressivo e profondo.

La girandola degli addii: otto assessori persi
Il 1° settembre 20016 è stato un giorno horribilis per Raggi: cinque dimissioni contemporanee. Via la capo di gabinetto Raineri, l’assessore a Bilancio, patrimonio e partecipate Marcello Minenna, i vertici di Atac e Ama, le partecipate dei trasporti e dei rifiuti. Il primo di una lunga serie di addii che avrebbero funestato la giunta: in quasi due anni e mezzo hanno lasciato otto assessori. Dopo Minenna, è stata la volta di Raffaele De Dominicis, al Bilancio per 24 ore, Paola Muraro (Ambiente), Andrea Mazzillo (Bilancio), Paolo Berdini (Urbanistica), Massimo Colomban (Partecipate), Adriano Meloni (Commercio), Alessandro Gennaro (Partecipate). Della squadra delle origini sono rimasti l’attuale vicesindaco Luca Bergamo, Daniele Frongia, Linda Meleo, Laura Baldassarre e Flavia Marzano, cui si sono aggiunti Gianni Lemmetti, Pinuccia Montanari, Luca Montuori, Margherita Gatta e Rosalba Castiglione.

L’andirivieni nelle partecipate
L’andirivieni non ha risparmiato i vertici delle partecipate. In Atac, dopo l’addio di Marco Rettighieri e Armando Brandolese, si sono succeduti Manuel Fantasia e Bruno Rota, per arrivare all’attuale supermanager Paolo Simioni. In Ama, dopo l’amministratore unico Alessandro Solidoro, sostituito (per poco) da Antonella Giglio, è arrivato Lorenzo Bagnacani come presidente e Ad. Ma nel frattempo è cambiato il Dg: Stefano Bina a gennaio 2018 ha lasciato, il suo incarico è stato assunto ad interim da Bagnacani.

Trasporti nel guado: domenica il referendum
L’irrequietezza ai vertici riflette lo stato di salute delle principali società capitoline. Atac ha avviato la procedura di concordato preventivo in continuità: l’ultima semestrale ha segnato il primo risultato netto positivo nella sua storia (5,2 milioni) ma il debito monstre da 1,35 miliardi resta congelato in attesa della pronuncia dell’assemblea dei creditori, il prossimo 19 dicembre. Domenica, intanto, si svolge il referendum promosso dai Radicali per la liberalizzazione del trasporto pubblico locale. Reazione a un servizio che continua a mostrare gravi disfunzioni.

Rifiuti, da un’emergenza all’altra
Per Ama, la partecipata dei rifiuti, è allarme rosso: mentre la città è invasa dai rifiuti che non riesce a smaltire, oggi scade il termine per la firma del pegno di Roma Capitale alle banche necessario per sbloccare le nuove linee di credito per Ama (quelle attuali scadono il 15 novembre) e garantire la continuità finanziaria. È l’unica via che consentirebbe al collegio sindacale di evitare azioni giudiziarie, come la richiesta di commissariamento del socio (Roma Capitale) o del Cda dell’azienda fino alla promozione della causa di scioglimento di Ama per inerzia del socio. «Le aziende non falliscono mai. Il 9 sarà una giornata bellissima», ha assicurato il direttore generale del Campidoglio, Franco Giampaoletti. «Roma a rifiuti zero è l’obiettivo della mia amministrazione», ha ripetuto Raggi sin dall’insediamento. Nessuno si aspettava miracoli. Ma nemmeno i cumuli di immondizia che periodicamente funestano le vie, del centro come della periferia.

L’assenza di visione dopo il “no” alle Olimpiadi
Alla fine, al di là dei procedimenti giudiziari e dei pasticci sulle nomine, restano agli atti il tentativo di risanare i conti e il recupero di un buon rapporto con i dipendenti, grazie allo sblocco del salario accessorio e delle assunzioni per il maxi-concorso. Ma è il vuoto di visione a preoccupare il tessuto produttivo della città. Il “no” alle Olimpiadi del 2024, segnale identitario, non è stato sostituito da altri slanci e da un piano di sviluppo che possa proiettare la Capitale d’Italia al passo delle sue colleghe europee, da Londra a Parigi. Il progetto dello stadio della Roma si è arenato davanti all’inchiesta che ha travolto il costruttore Luca Parnasi e Luca Lanzalone, l’avvocato di fiducia del M5S: altra nube nerissima nel cielo del Movimento. Il Tavolo per Roma, voluto dall’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, è franato sotto il peso delle reciproche diffidenze. Il rapporto con il nuovo governo gialloverde è ancora alle battute iniziali: Raggi spera in fondi e poteri speciali per Roma Capitale. Domani si saprà se il dialogo può continuare. Ma accanto alle mani tese dall’anima gialla, c’è il rapporto con quella verde ad allarmare: la cavalcata di Matteo Salvini sulla sicurezza, le mire leghiste sulla città.

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