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Il Pd e la coalizione che non c’è: la sinistra si frantuma in 4…

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la sindrome della scissione

Il Pd e la coalizione che non c’è: la sinistra si frantuma in 4 (o 5)

Paolo Gentiloni, presentando mercoledì scorso a Roma il suo libro “La sfida impopulista” assieme al fondatore del Pd Walter Veltroni, lo ha detto chiaramente: il Pd da solo non basta più, occorre una nuova alleanza, ma i possibili futuri alleati dei dem ancora non ci sono. Un’alleanza con chi verrà, insomma, sperando nel mondo dei movimenti e delle associazioni che nelle ultime settimane hanno riempito le piazze di Roma e Torino.

Già, perché il centro che fu di Angelino Alfano e Beatrice Lorenzin si è dissolto alle ultime elezioni. E soprattutto a sinistra c’è un quasi deserto fatto di molte sigle separate che da sole non arriveranno mai a superare gli sbarramenti previsti dalle leggi elettorali (3% per le politiche con il Rosatellum, 4% per le europee in programma per il prossimo maggio). È di queste ore la notizia della separazione nei tre tronconi originari di Leu, la lista guidata da Pietro Grasso che in vista delle ultime politiche aveva unito Sinistra italiana (ossia gli ex vendoliani di Sel), Articolo 1-Mdp (ossia i fuoriusciti dal Pd Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e Roberto Speranza) e Possibile (la formazione dell’ex “rottamatore” Pippo Civati).

Dopo le elezioni, che hanno visto Leu superare di poco la soglia di sbarramento con il 3,3% portando in Parlamento 14 deputati e 4 senatori, si sarebbe dovuto avviare il processo per trasformare la lista elettorale in vero e proprio partito. Ma i bersaniani - che mirano ancora a ricostruire una “sinistra di governo” e guardano con interesse all’esito del congresso Pd, sperando nel definitivo superamento dell’era renziana - non se la sono sentita di seguire Sinistra italiana sulla via di un ricongiungimento con Rifondazione comunista (sì, esiste ancora la vecchia Rifondazione bertinottiana, ora guidata da Maurizio Acerbo).

Il risultato è che alle prossime europee a sinistra del Pd si presenteranno almeno tre liste: i bersaniani di Articolo 1-Mdp; una lista frutto dell’unione di Sinistra italiana, di Rifondazione e del movimento del sindaco di Napoli Luigi de Magistris; infine Potere al popolo. Senza contare le associazioni e formazioni politiche a latere: c’è l’associazione “Patria e Costituzione” fondata dagli ex dem Stefano Fassina (di Sinistra italiana) e Alfredo D’Attorre (di Articolo 1-Mdp), di sinistra ma sovranista ed euroscettica. E c’è il movimento politico “Futura” di cui è stata eletta presidente onoraria Laura Boldrini, uscita da Leu all’indomani del voto del 4 marzo.

Se si tiene presente che anche nel Pd alcuni ragionano di nuovi partiti al centro (renziani) o a sinistra (la corrente di Andrea Orlando), si può ben dire che la sconfitta elettorale del 4 marzo ha rimesso in moto storiche pulsioni scissionistiche e autodistruttive della sinistra italiana. A cominciare dalla madre di tutte le scissioni, quella di Livorno del 1921 che separò i comunisti dai socialisti proprio mentre il fascismo si accingeva a prendere il potere e il Paese. Corsi e ricorsi storici? In effetti qualcuno, come Veltroni, vede molte analogie tra i primi anni Venti del secolo scorso e la fase politica che stiamo vivendo ora.

Per restare con i piedi per terra, tuttavia, si può ritornare alla riflessione di Gentiloni riportata all’inizio: se il Pd da solo non basta più, o bisogna sciogliere il Pd in qualcosa di nuovo o bisogna “creare” nuovi alleati. Perché quelli vecchi non ci sono più, e se ci saranno (i bersaniani?) non saranno certo loro la leva per tornare al governo.

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