Dopo due mesi di stallo dei negoziati, con il governo M5s-Lega in pressing per cambiarne le “regole d’ingaggio”, l’operazione europea Sophia, lanciata nel 2015 per togliere aria al business dei trafficanti di uomini nel Mediterraneo, ma anche per vigilare sul rispetto dell’embargo alla Libia e addestrare la Marina e la Guardia costiera libiche, potrebbe avere i giorni contati.
Il 4 luglio il Comitato politico e di sicurezza ha deciso di prorogare il mandato della missione al 31 dicembre. Per finanziare la missione l’Italia ha speso 59.486.740 euro nel 2015; 69.799.938 nel 2016 e 43.149.186 euro nel 2017. Per un totale di 172,4 milioni.
L’Italia: o cambiano le regole di ingaggio o noi non rinnoviamo l’impegno
Il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini ha avvertito che se non cambia l’attuale piano operativo, l’Italia non
rinnoverà il suo impegno nella missione. In base alle regole di ingaggio attuali, tutti i migranti salvati dalle sue navi (circa il 9% del totale di quanti vengono
soccorsi, in media, nel Mediterraneo ogni anno) vanno sbarcati nei porti italiani. Allo stato attuale l’Italia, che impiega
585 militari, ha una posizione di leadership nell’ambito dell’operazione, con il quartier generale operativo di Roma, l’Operation
Commander e il Force Commander imbarcato su Flagship. Dall’inizio dell’operazione i nostri militari hanno consegnato all’autorità
giudiziaria 117 sospetti scafisti, neutralizzando 477 natanti utilizzati per il traffico di esseri umani via mare.
Pressing iniziato in estate
La scorsa estate il governo ha chiesto con forza la modifica. Il nuovo principio sarebbe dovuto essere quello della rotazione
dei porti di sbarco. Il 17 luglio il ministro degli Affari esteri Moavero Milanesi ha inviato una lettera all’Alto rappresentante
dell’Ue Federica Mogherini. Da parte italiana, è il messaggio lanciato in quelle ore, non vengono più ritenute applicabili,
anche alla luce delle conclusioni del Consiglio Europeo del 28 giugno, le attuali disposizioni del “piano operativo” della
missione Eunavformed Sophia, che individuano esclusivamente l’Italia come luogo di sbarco dei migranti che vengono soccorsi
dalle proprie unità.
La trattativa si è arenata
Il governo ha posto anche un ultimatum (scaduto a fine agosto) per cercare di imprimere un’accelerazione al processo. Ma la
trattativa si è arenata. Tutti i ministri riconoscono il valore e l’efficacia di Sophia, e in teoria vorrebbero che proseguisse,
ma in pratica non riescono a trovare un compromesso sulla destinazione dei migranti salvati.
Le distanze tra i paesi partecipanti
Una buona parte degli Stati - tra questi Francia, Ungheria, Belgio e Croazia - si sono trincerati dietro la necessità di
trovare una soluzione nell'ambito della discussione più ampia sulla gestione dei migranti, che passa attraverso la riforma
del regolamento di Dublino, le piattaforme regionali di sbarco e i centri controllati: tutti dossier in piena impasse. Altri
Paesi - come Germania, Spagna e Portogallo - sono disposti a trovare una soluzione temporanea, valida cioè fino a quando tutti
i pezzi del puzzle sulla partita europea delle migrazioni non saranno andati al loro posto.
A Mogherini la regia della mediazione
La regia della mediazione è sulle spalle di Mogherini, che ha lanciato un ultimatum: «O gli Stati membri trovano una soluzione
ad interim» sulla questione dei porti di sbarco dei migranti salvati dalle navi che vi partecipano «o smantelliamo» la missione.
Mogherini ha poi aggiunto che «è grazie a questa operazione, grazie alla presenza delle navi e degli aerei dell’Unione nel
Mediterraneo», che fanno prevenzione, “che il flusso di migranti in arrivo sulle coste italiane è diminuito dell’85% rispetto
al 2017». Nei mesi l’Alto rappresentante ha messo un paio di proposte sul tavolo, come base di lavoro, ma per ora è stato
un susseguirsi di fumate nere. In mancanza di un compromesso, la Grecia ha avanzato l’idea di una proroga tecnica del mandato
attuale. Un’ipotesi che a questo punto, considerato il tono delle le parole di Salvini, si è fatta debole.
All’operazione partecipano 26 su 28 stati europei
All’operazione partecipano 26 su 28 stati europei: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia,
Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca,
Regno Unito, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria. Nel 2017 l’Italia ha impiegato nella missione 585 militari.
Le tappe della missione
Da quanto è partita, la missione militare si è sviluppata in tre fasi. La prima è stata orientata alla raccolta di informazioni
di intelligence; le due successive si sono focalizzate sulla caccia attiva ai trafficanti, prima in acque internazionali,
poi nelle acque territoriali e interne della Libia, previo mandato delle Nazioni Unite e approvazione del paese interessato.
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