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Rapporto Censis: un paese deluso che non vede il cambiamento

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L'Analisi|IL RAPPORTO CENSIS

Rapporto Censis: un paese deluso che non vede il cambiamento

Soli, arrabbiati e diffidenti. Così appaiono gli italiani in questo scorcio finale del 2018 nel ritratto che ne fa il rapporto Censis (foto Agf)
Soli, arrabbiati e diffidenti. Così appaiono gli italiani in questo scorcio finale del 2018 nel ritratto che ne fa il rapporto Censis (foto Agf)

Soli, arrabbiati e diffidenti. Così appaiono gli italiani in questo scorcio finale del 2018 nel ritratto che ne fa il rapporto Censis. Un’immagine in cui campeggia la delusione per una ripresa prematuramente sfiorita e per il fatto che non si sia verificata una vera ripartenza economica.

Il Prodotto interno lordo ristagna, inchiodato com’è a un modesto +0,7% tendenziale rispetto allo scorso anno, molto al di sotto delle previsioni, i consumi delle famiglie non ripartono, la produzione industriale ha incominciato a flettere, così come l’export; restano basse le retribuzioni e l’inflazione.Quanto agli investimenti, mostrano ancora una dinamica relativamente sostenuta per via dell’azzeramento di quelli del decennio precedente.

La seconda disillusione, osservano i ricercatori del centro fondato da Giuseppe De Rita e oggi diretto da Massimiliano Valerii, riguarda la speranza in un cambiamento miracoloso. Il 63,6% degli italiani pensa che non ci sia nessuno a difendere i loro interessi, una percentuale che sale al 72% tra chi ha un basso titolo di studio ed è al 71,3% fra chi ha redditi bassi.

Non basta: questo senso di impotenza e di convinzione che la politica sia una sfera puramente autoreferenzialeè oramai pervasivo. Così, in uno degli anni a più alta discontinuità politica della storia repubblicana, il 56,3% degli italiani dichiara che non è vero che nel nostro paese le cose stiano cambiando. Lo pensano, in particolare, il 73,1% degli studenti, il 62,2% degli anziani, il 60,7% dei residenti nel Nord Ovest e il 60,2% delle donne.

Il fatto è che in un’epoca di bassa crescita (o, addirittura, a rischio di un rapido ritorno in recessione) si arresta anche la fiducia in un ascensore sociale che funzioni. Così l’Italia è oggi il paese dell’Unione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore dei propri genitori (23% contro il 33% tedesco o il 43% della Danimarca) mentre la quasi totalità delle persone con basso titolo di studio e basso reddito ritiene che resterà per sempre nella sua condizione e mai potrà diventare benestante.

La delusione e il rancore, in una società praticamente balcanizzata, possono diventare cattiveria vera a propria ci dice il Censis, che appare assai preoccupato dal «sovranismo psichico», cioè la crescente tendenza all’enfatizzazione identitaria e al rifiuto dell’altro. Basti pensare ai sondaggi che segnalano come il 63% degli italiani oggi vede in modo negativo l’immigrazione da paesi non comunitari; una quota che, ovviamente, è divenuta schiacciante fra i più fragili, cioè gli anziani e i disoccupati.

C’è il rischio di arrivare a prendere a picconate quelli che in passato sono stati i pilastri della cultura e delle modalità di relazione in Italia, perdendo la fondamentale capacità di assimilare novità e shock esterni che è stata un punto di forza del nostro paese in tutta la sua storia.

Quanto all’ Europa, il rapporto non manca di mettere in evidenza, accanto all’assai tiepido senso di appartenenza degli italiani, l’altrettanto scarsa capacità di cogliere le occasioni offerte (quest'anno potremmo perdere 3,6 miliardi di fondi europei già assegnati per l’incapacità di spendere di Regioni e ministeri). Ma spiega anche che sono tante e potenti le ragioni del nostro stare insieme agli altri europei: l’integrazione economica, l’export, la vocazione geografica, il traino esercitato dall’innovazione tecnologica. Soprattutto, il Censis evidenza che quando si chiede loro di che cosa dovrebbe occuparsi il Parlamento europeo, gli italiani indicano la disoccupazione giovanile e lo sviluppo. Sono questioni di fondo, sulle quali è perfettamente legittimo domandare all'Europa di fare di più.

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