Dall'Italia dei rentier, che vivono di rendita del tesoretto accumulato a scapito degli under 40 (2016), e quella del disagio e del rancore - conseguenze, insieme al populismo dilagante - del blocco della mobilità sociale nonostante i segnali di rilancio dell'economia (2017), all'Italia di oggi, incattivita dalla «delusione per lo sfiorire della ripresa e per l'atteso cambiamento miracoloso». È il quadro, assai pessimistico, che emerge dal 52° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, vero e proprio “stato dell'arte” dell'essere italiani oggi.
I nostri concittadini, spiega il capitolo chiave sulla “società italiana al 2018”, sono in preda a «una sorta di sovranismo psichico prima ancora che politico», che «talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria - dopo e oltre il rancore ‒ diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare».
Richiesta di sicurezza al top, migranti sotto accusa
Come sempre, al ragionamento sociologico si accompagnano i numeri e le statistiche sul nostro modo di essere, conferma dell'analisi
contenuta nel Rapporto. Il cattivismo italico riflette infatti innanzitutto un bisogno radicale di sicurezza di cui fanno
le spese in particolare i migranti. Il 63% degli italiani vede negativamente l'immigrazione extra Ue, con gli ostili concentrati
tra gli italiani più fragili: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78% dei disoccupati, mentre il dato scende al 23% tra gli
imprenditori. Il 58% degli italiani pensa che gli immigrati sottraggano posti di lavoro, il 63% che rappresentino un peso
per il welfare, e solo il 37% sottolinea il loro apporto positivo all'economia. Infine, per il 75% dei nostri connazionali
l'immigrazione aumenta il rischio di criminalità, e il 59,3% esclude la possibilità di raggiungere un buon livello di integrazione
tra etnie e culture diverse nel prossimo decennio.
Delusione per le speranze perdute
La cattiveria, che segue all'immobilismo e al rancore sociale e si accompagna alla delusione per una ripresa economica sempre
ai minimi termini spiega secondo il Censis il successo delle politiche populistiche, il ritorno mediatico e nei consensi per
le continue sfide all'Europa, vera cifra politica dei rapporti Roma-Bruxelles degli ultimi mesi. Nelle parole del Rapporto
Censis, una «ricerca programmatica del trauma, nel silenzio arrendevole delle élite», anche a costo di «forzare gli schemi
politico-istituzionali e spezzare la continuità nella gestione delle finanze pubbliche». La base del prevalente «sovranismo
psichico» tra gli italiani è sedimentata in una lunga serie di delusioni. Nella Ue, l'Italia è il Paese dove si registra la
quota minore (23%) di cittadini convinti di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore dei genitori (la media
Ue è il 30%, il 43% in Danimarca, il 41% in Svezia, il 33% in Germania). Il 96% delle persone con un basso titolo di studio
e l'89% di quelle a basso reddito sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter
diventare benestanti nel corso della propria vita. E il 56,3% degli italiani dichiara che non è vero che le cose nel nostro
Paese hanno iniziato a cambiare veramente.
Italiani affetti da « cattivismo diffuso» che «erige muri invisibili»
Porta al «sovranismo psichico» e al cattivismo anche l'atteggiamento di estrema delusione per la mancata difesa di interessi
e identità (lo pensa il 63,6% degli italiani, e la quota sale al 72% tra chi possiede un basso titolo di studio e al 71,3%
tra chi può contare solo su redditi bassi). Prendono quota in questo clima anche i pregiudizi, in particolare quelli finora
considerati inconfessabili, come l'avversità ai Rom (il 69,7% degli italiani non li vorrebbe come vicini di casa), e la paura
e la domanda di protezione nei confronti di alcolizzati e tossicodipendenti (accomuna il 69,4% degli italiani). Tutti «dati
di un cattivismo diffuso che erige muri invisibili, ma spessi». Rispetto al futuro, il 35,6% degli italiani è pessimista perché
scruta l'orizzonte con delusione e paura, il 31,3% è incerto e solo il 33,1% è ottimista.
La correlazione tra giovani (pochi) e valori europei
Il pessimismo e l'atteggiamento negativo verso il diverso dei nostri connazionali dipende probabilmente anche all'invecchiamento
della popolazione. Pur essendo un fenomeno generale del modo occidentale, negli altri Paesi Ue, i giovani continuano a costituire
una “riserva di ottimismo” che da noi manca, e che in tempi di incertezza dell'economia diventa un bene prezioso. In Italia,
la quota dei giovani di 15-34 anni sulla popolazione complessiva è pari al 20,8%, la più bassa tra tutti i 28 Paesi Ue, diminuita
nel decennio del 9,3 per cento. E questo spiega in parte perché alcuni valori chiave dell'Europa unita (libera circolazione
delle persone, moneta unica e diversità culturali) siano in ribasso dalle nostre parti.
Lo spettro della disoccupazione
Alla vigilia delle Europee 2014, nel mezzo della crisi economica, i cittadini dei 28 Stati che dichiaravano di avere fiducia
nell'Ue erano il 31%, ovvero 11 punti in meno del valore registrato nella primavera di quest'anno (42%). Nei Paesi in cui
è elevata la fiducia nell'Ue e contemporaneamente è positivo il giudizio sulla situazione del proprio Paese si è registrata
una forte risalita post-crisi, con una variazione del Pil nel periodo 2012-2017 che oscilla tra il +55,3% in termini reali
dell'Irlanda e il +4% della Finlandia. Al contrario, nel gruppo di Paesi in cui la fiducia nell'Europa è bassa, anche il giudizio
sulla situazione interna è negativo: tra questi figura l'Italia, insieme a Francia, Regno Unito, Spagna e Grecia. In questo
gruppo, la paura della disoccupazione attanaglia l'83% dei cittadini greci e il 69% degli italiani, contro una media europea
solo del 44 per cento.
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