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Conti pubblici, la minor crescita e il rischio recessione allontanano il calo del debito

Stop alla riduzione del debito, per effetto della più che probabile revisione al ribasso della stima di crescita per l’anno in corso. Deficit nominale in aumento di due o tre decimali, nell’ipotesi che la contrazione del Pil si limiti a uno 0,5% in meno rispetto all’1% contenuto nella versione definitiva della manovra. Le nuove variabili macroeconomiche saranno definite dal Governo a metà aprile, con il Documento di economia e finanza, e tuttavia fin d’ora si può prevedere una drastica revisione dell’intero quadro di finanza pubblica. Tenendo peraltro conto che già con il Def di aprile occorrerà anche indicare come far fronte all’aumento dell’Iva (dal 10 al 13% e dal 22 al 25,2%) per circa 23 miliardi, già inserito nei saldi del 2020.

Si può ipotizzare nuovamente il ricorso al deficit per disinnescare le clausole di salvaguardia, dopo che sul filo di lana si è evitata la procedura d’infrazione? La prima vittima della brusca frenata dell’economia, certificata dal crollo della produzione industriale in novembre, rischia di essere proprio il debito. La stima aggiornata a dicembre, dunque comprensiva della nuova previsione di deficit nominale al 2% (rispetto al 2,4% della prima versione della manovra), vede il debito ridursi al 130,7%, contro il 131,7% atteso per fine 2018. Due le precondizioni: una crescita nominale (comprensiva dell’inflazione) del 2,3%, incassi da privatizzazioni per 18 miliardi nell’anno in corso. Se si escludono i proventi da dismissioni immobiliari (stimati in 950 milioni) che vanno ad abbattere il deficit, i restanti 17 miliardi confluirebbero nel fondo di ammortamento dei titoli di Stato, contribuendo con ciò alla riduzione del debito.

Una previsione attendibile? La si può definire almeno ambiziosa, per ragioni oggettive di mercato (per vendere asset pubblici occorrono compratori), per l’individuazione delle quote pubbliche da dismettere e per i tempi di messa a punto delle offerte. Anche il coinvolgimento di Cassa Depositi e prestiti (che è fuori dal perimetro della Pa) dovrà essere ben calibrato, perché su questo aspetto sono accesi da tempo i riflettori di Eurostat. Se dunque la discesa del debito non vi sarà, rischia di riaprirsi anche la partita con Bruxelles, che proprio sul debito e sul deficit strutturale ha puntato i suoi strali il 21 novembre nel respingere al mittente la prima versione della manovra.

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Nulla accadrà fino a giugno, perché incombono le elezioni europee, ma in autunno il tema del mancato rispetto della regola del debito tornerà in evidenza. Il rischio di una procedura d’infrazione, in sostanza, non è del tutto scongiurato. Si potranno invocare le “circostanze eccezionali”, appunto la frenata del Pil, ma non è detto che verranno accolte in toto.

L’altro rischio che pende sui conti pubblici riguarda l’accantonamento per sei mesi di 2 miliardi chiesto da Bruxelles di voci di spesa dei ministeri, che potranno sbloccarsi solo se a luglio non si evidenzieranno scostamenti rispetto ai nuovi target di debito e deficit fissati dal Governo. Una drastica revisione del quadro di finanza pubblica renderebbe necessaria la “stabilizzazione” del taglio nell’intero anno. E occorrerà comunque fare i conti con l’aumento della spesa in conto interessi provocata dall’incremento dello spread.

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