Siamo cresciuti con il mito della palla che è rotonda, del vinca il migliore ma «speriamo di no» di Nereo Rocco, del Brasile che si suicida in casa con l’Uruguay alla finale dei Mondiali del ’50, della Danimarca campione d’Europa ’92. Ci insegnarono che il nostro era il campionato più bello del mondo perché lo vincevano pure Cagliari e Verona, perché c’erano Platini, Maradona, Zico, ok, ma persino un Perugia ti arrivava secondo. Cronache marziane rispetto al quadro odierno: il calcio italiano che noia mortale, son più di sette anni che si ripete sempre uguale, proprio come la musica andina sfottuta da Lucio Dalla.
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Calma piatta in serie A
Il tema è noto: c’è calma piatta in una serie A anestetizzata dallo strapotere della Juventus che, con un Cristiano Ronaldo in più rispetto alle precedenti stagioni, si avvia a conquistare sul velluto l’ottavo scudetto consecutivo dell’era Andrea
Agnelli. Persino in Formula 1 sembra esserci più movimento, considerando che la dittatura delle Mercedes dura appena da cinque
Mondiali. Con il fair play finanziario a imbrigliare le inseguitrici e i diritti Tv a fare il bello e cattivo tempo, non
si vede cosa possa spezzare questa monotonia che, come corollario, si porta dietro nei fatti una svalutazione del prodotto
serie A, ormai prevedibile quanto il wrestling americano. Dove alla fine vincono sempre i buoni, salvo diverse disposizioni
della sceneggiatura.
GUARDA IL VIDEO. Piatek porta in semifinale il Milan
Juve fuori, la grande sorpresa
E allora sai che c’è? Per una volta teniamoci stretta la Coppa Italia. Sì, proprio la tanto bistrattata seconda competizione
nazionale eterno appannaggio di Mamma Rai, siccome suona così poco appetibile che Sky e Dazn neanche ci pensano a darsi battaglia per i suoi diritti. I verdetti emessi
dai quarti di finale sono una boccata d’aria fresca nel clima asfittico dell’Italia pallonara. La Lazio di Ciro Immobile a
San Siro ha battuto 4-3 l’Inter ai rigori, dopo che i supplementari si erano conclusi 1-1. In semifinale, proprio come l’anno
scorso, affronterà il Milan che si è sbarazzato del Napoli grazie a un 2-0 casalingo che porta la firma del neo-acquisto Krzysztof Piatek. All’Atalanta
di Duvan Zapata è riuscita addirittura l’impresa di rifilare un 3-0 ai pluricampioni d’Italia della Juventus. Adesso dovrà
vedersela con la Fiorentina che, complice la tripletta di Chiesa, si è imposta con un sonoro 7-1 sulla Roma. La novità, rispetto
alle «Final Four» della precedente edizione, sta proprio nella Viola che prende il posto dei bianconeri. E non è affatto una
novità di poco conto.
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Dove osano le outsider
Carnevale sul calendario è ancora lontano, ma quello offertoci dalla Coppa Italia è già un «mondo alla rovescia» che ci fa
apparire un po’ più interessante il mondo di tutti gli altri giorni. Se la giocano quattro outsider, rispettivamente quarta,
settima, ottava e nona in serie A. La più blasonata è il Milan che tuttavia, per varie vicende, da otto anni non riesce ad alzare un trofeo. Com’è che quest’anno andrà a finire così, dopo
quattro vittorie juventine consecutive? Le valutazioni possibili sono molteplici. Potremmo tornare sul discorso della scarsa
rilevanza economica del torneo, fino a qualche anno fa addirittura percepito come una seccatura per i grandi club. Roba da
snobbare. Che le big siano scese in campo svogliate? Boh. Potremmo dare il merito alla formula che da una decina d’anni caratterizza
la manifestazione, una cosa che sta tra Fa Cup, Carabao Cup e Coppa di Francia. Che il meccanismo dei sorteggi e del tabellone
tennistico a eliminazione diretta sia un antidoto efficace alla prevedibilità? Boh. Potremmo dire che la coppa nazionale è
sempre stata una competizione più «democratica» rispetto al campionato. Guardate l’albo d’oro: prevale la Juventus con 13
vittorie, poi Roma (9), Inter (7), Fiorentina e Lazio (6), Milan, Napoli e Torino (5), Sampdoria (4), Parma (3), Bologna (2)
e cinque squadre con una sola edizione vinta, tra cui Vado e Venezia.
Una modesta proposta
Comunque la mettiate, l’edizione 2018/2019 della Coppa Italia non è da intendersi come un incidente, ma un possibile punto
di ripartenza per la serie A. E allora ci viene da avanzare una modesta proposta per le prossime stagioni: perché non destinare
al vincitore della manifestazione l’accesso in Champions League che oggi spetta alla quarta classificata in serie A? La mossa
restituirebbe prestigio alla competizione, oltre a mettere un po’ di pepe in un movimento sportivo che ha imparato a recitare
a soggetto. Una robusta rimescolatura di carte, esattamente ciò di cui ha bisogno il campionato italiano per non morire di
noia.
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