Più di 18mila ore di ritardo, 4.460 in partenza e 13.687 a destinazione, per i treni dell’Alta velocità italiana, Frecce e Italo, nel 2018. All’arrivo il peggioramento è del 50,5% rispetto al 2017, 821.200 minuti, 2,5 volte quelli del 2014. Per ciascuno dei 111.387 treni effettuati lo scorso anno il ritardo medio è di 7 minuti e mezzo. Solo il 34,8% dei treni sono arrivati a destinazione in orario contro il 39,9% del 2017, mentre il 38,9% ha un ritardo superiore a 5 minuti contro il 32,6% del 2017. I bilanci finali del 2018 (dati tratti dal «Portale informativo circolazione» di Rfi) confermano l’anno nero dei treni veloci, con un peggioramento di 5-6 punti percentuali medi, che ha avuto per altro un riflesso sulla puntualità dei treni regionali, scesa dal 58,6% al 57,4% e dal 92,5% al 91,6% se si considera la fascia di cinque minuti.
Il quarto trimestre del 2018 ha segnato il momento più alto di crisi. Ottobre e novembre drammatici, con la discesa nell’inferno dove più della metà dei treni arrivava con ritardo superiore a 5 minuti (sono compresi i ritardi dovuti a cause esterne). È andata meglio a dicembre (40,9%) e poi a gennaio 2019 (36,9%) dopo l’allarme lanciato dal neoamministratore delegato di Fs, Gianfranco Battisti, che ha chiesto alla controllata Rfi, società di gestione della rete, un pacchetto di misure straordinarie di emergenza: primi ritocchi all’orario, la cancellazione di oltre un terzo dei cantieri programmati sulla rete (è rimasto un solo «rallentamento» sulla Torino-Salerno), una stretta sulle norme di circolazione come quella eccezionale di chiudere le porte dei treni in anticipo (fino a un minuto) rispetto all’orario di partenza, task force di dirigenti in sale operative per ottimizzare le soluzione ai conflitti fra treni Av e regionali.
Il miglioramento c’è stato ma le stesse Fs definiscono queste misure «aspirine» mentre si lavora agli «antibiotici». Aiuterà l’entrata in funzione del nuovo piano regolatore della rete di Brescia e, sul fronte dei pendolari, l’arrivo dei nuovi treni Pop e Rock dotati di forte accelerazione (fondamentali per liberare rapidamente il binario al treno successivo). Una svolta importante sarà l’utilizzo del sistema di controllo elettronico della marcia del treno, Ertms, anche sulla Direttissima Roma-Firenze e, nella versione Ertms High Definition, nei nodi urbani di Milano e Roma. Garantisce un salto di regolarità, sicurezza, capacità. Ma è chiaro che ormai il tema dei ritardi è centrale per la ferrovia italiana e mette in discussione il funzionamento del modello stesso dell’Alta velocità: si cercano colpevoli e responsabilità ma anche soluzioni per evitare che la saturazione delle linee, in certi orari e tratte, mandi in tilt il sistema.
L’Autorità di regolazione dei trasporti (Art) è scasa in campo chiedendo a Rfi interventi strutturali urgenti oltre le misure di emergenza. Per Art va riprogettato completamente l’orario dei treni cominciando dall’estate prossima. Per Rfi sarà possibile a fine 2019 se si troverà un’intesa con Trenitalia e Italo e le altre 32 imprese ferroviari circolanti sulla rete, mentre l’Autorità chiede già dall’estate 2019.
La tesi dell’Autorità è chiara: la rete non è satura, si può ottimizzare molto per fare spazio a più treni e farli viaggiare a una velocità più uniforme; il modello concorrenziale è stato decisivo nel decretare il successo dell’Av italiana che ha cambiato il trasporto passeggeri in Italia; i problemi da sovraccarico sulla rete vanno affrontati subito con un salto di efficienza nella gestione della rete stessa. Per esempio, con sistemi e software di assegnazione delle tracce innovativi (in effetti Rfi sta dismettando il vecchio sistema Roman per passare a un algoritmo innovativo che sarà presto al servizio della squadra dei 40 progettisti dell’orario). La concorrenza va protetta e semmai rafforzata, sostiene l’Art, dando più informazioni agli operatori e ai clienti del treno. Mercati più trasparenti. L’algoritmo (si chiama «scenario tecnico») va reso pubblico. E non manca il richiamo all’indipendenza di Rfi, che è nel gruppo Fs insieme a Trenitalia (uno dei giocatori) ma è soggetta a norme che ne impongono la neutralità da arbitro.
C’è un’altra chiave di lettura dei disagi di oggi, diversa da quella dell’Autorità e che anzi mette sotto accusa proprio le scelte fatte dall’Autorità in questi anni. Il responsabile dei disagi sarebbe «lo sfruttamento intensivo e crescente della rete».
Che lo sfruttamento della rete - prima di capire se sia bene o male - ci sia è evidente dai numeri: i treni Av sono passati dai 67.344 del 2014 ai 111.387 del 2018 (+65%). Le aree di maggiori criticità sono tre: la direttissima Roma-Firenze, Milano Centrale e Roma Termini. I volumi della direttissima sono passati dai 252 del 2014 ai 317 del 2018 di cui 242 mercato. La capacità commerciale è di 220 treni per senso di marcia: 72% di riempimento contro l’80% che indica saturazione, quando l’Unione internazionale delle ferrovie (Uic) indica il 60% come limite ottimale. Milano centrale è passata da 573 treni del 2015 a 673 del 2018. Termini da 734 del 2015 a 933 del 2018 e arriverà a 963 nel 2019.
Ma è un bene o un male che la rete sia utilizzata al massimo, per dare più servizi ai cittadini, per far crescere il numero dei passeggeri, per garantire bilanci in equilibrio agli operatori ferroviari, per ripagare gli investimenti fatti? Il partito dello «sfruttamento eccessivo» ha avuto nei giorni scorsi un portavoce nel senatore di Forza Italia Diego Sozzani: le norme dell’Autorità, ha detto, con riferimento alla garanzie di accessibilità e alla riduzione dei canoni per Trenitalia e Italo, «portano alla congestione della rete e gli utenti pagano i ritardi».
L’Autorità non si sposta dalla propria strada: la concorrenza e la regolazione hanno consentito la crescita del traffico a beneficio dei passeggeri. Un solo dato (Fonte Irg Rail) per riaffermare il primato italiano in Europa: nel triennio 2015-2017 i passeggeri-km dell’Av italiana sono cresciuti del 22,2% e quello dei treni-km offerti del 32,52%, mentre in Francia la crescita dei passeggeri è stata del 5,47% e i treni sono diminuiti del 6,86% e in Spagna i passeggeri sono cresciuti dell’8,67% e i treni offerti dell’1,33%. Questo con una rete Av che in Italia è pari a un terzo.
C’è una terza soluzione per risolvere i disagi: nuove infrastrutture. Si dovrebbe ripartire dal sottopasso di Firenze che sulla distanza Roma-Milano consente di risparmiare 20 minuti e soprattutto consente, come già acade a Bologna, di separare treni Av e regionali. L’altra urgenza è la Direttissima, che risale al 1969. Ci vorrebbero binari nuovi, adeguati al resto della rete dove si possa viaggiare a 350 km/h (oggi 250 km/h). Ma se nel primo caso si attende l’opera da 16 anni, nel secondo sarebbe tutto da progettare. Un tema presto ineledubile ma che produrrà effetti su chi viaggia non prima di venti anni.
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