Altro che il 30%. La sconfitta per il M5S in Abruzzo è bruciante: dimezza i consensi rispetto alle elezioni politiche del 4 marzo, quando aveva sfiorato il 40%, e perde terreno persino rispetto alle regionali del 2014. Tutto nonostante i leader, Luigi Di Maio in testa, si siano spesi senza tregua per la candidata Sara Marcozzi e nonostante stia per decollare il reddito di cittadinanza. In sintesi: l'esperienza di governo ha aggravato la tradizionale debolezza dei Cinque Stelle nelle competizioni sui territori. Con una frana di consensi che si può immaginare a vantaggio tanto dell'alleato leghista quanto della sinistra e dell'area dell'astensione. Come se gli elettori che a livello nazionale avevano scommesso sul Movimento fossero scappati, liquidi come erano arrivati.
È il dazio pagato dal M5S a un appiattimento progressivo sulle priorità della Lega, linea dura sull'immigrazione in primis.
Il tributo versato per la virata a destra senza un sussulto, se non tardivo e scomposto, nei confronti delle battaglie storiche.
Tra la copia e l'originale gli abruzzesi hanno scelto l'originale. Di Maio, durante la campagna elettorale per le politiche,
aveva tentato di accreditare il Movimento come forza moderata, istituzionale: una sorta di nuova Balena bianca post-ideologica
capace di attrarre tanto gli anti-sistema quanto i moderati delusi dal centrosinistra. Il tentativo pare andato in frantumi.
Non tanto e non solo per la scelta di siglare il contratto di governo con la Lega, quanto per la decisione di gareggiare con
Matteo Salvini in provocazioni. Fino alle ultime: l'abbraccio con i gilet gialli che ha scatenato la crisi diplomatica con la Francia e l'attacco frontale a Bankitalia.
Non solo. Mentre il Carroccio incassava - seppur a colpi di slogan, come i porti chiusi o la Fornero “smantellata” - il M5S
o cedeva (si vedano Tap e Ilva, ma anche il Salva-Carige) o temporeggiava (come avvenuto finora per la maldestra gestione
del dossier Tav, per le autonomie e per gli F35). Quota 100 registra già un boom di adesioni, il reddito di cittadinanza ancora
deve decollare, e pure tra mille incognite. Salvini, da ministro dell'Interno, può sguazzare nel terreno che gli è più congeniale:
ordine e sicurezza. Di Maio si è caricato del doppio peso del Lavoro e dello Sviluppo economico. In tempi di recessione, non
proprio ministeri “redditizi” dal punto di vista del consenso. Né possono bastare, alla lunga, le battaglie bandiera del taglio
dei vitalizi e della autoriduzione degli stipendi. Men che meno il ritorno di Alessandro Di Battista nel ruolo di frontman.
La giustificazione del tracollo con la corsa in solitaria rispetto alle “maxi coalizioni altrui” poteva reggere fino allo
scorso anno. Non è più credibile dopo l'exploit delle politiche e dopo nove mesi di governo. Né una caduta tanto clamorosa
può essere attribuita alla presunta debolezza del candidato, come in altre competizioni. Perché Marcozzi non era una sconosciuta,
ma un'attivista storica nota in Regione, già candidata governatrice nel 2014 e consigliera regionale da allora. Cinque anni
fa prese il 21,4%, più di oggi. Eppure quella era un'era geologica fa, politicamente parlando. Ieri tanti cittadini abruzzesi
che avevano puntato sul Movimento a livello nazionale hanno platealmente fatto retromarcia lasciandosi travolgere dal vento
sovranista o ritornando nell'alveo del centrosinistra “allargato” alle liste civiche oppure (e sono la maggioranza) restando
a casa. Un segnale di sfiducia che non va sottovalutato.
Se la situazione dovesse riproporsi anche in Sardegna tra due settimane, per Di Maio si profilano tre mesi difficili. Stretto tra l'incudine di un Salvini rafforzato, che potrebbe far valere il ribaltamento dei rapporti di forza nell'Esecutivo, e il martello degli oppositori interni, pronti ad affilare le armi. A partire proprio dal voto al Senato sul processo a Salvini. Con le europee del 26 maggio che incombono.
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