Se non fosse stato per quel «burattino mosso da Salvini e Di Maio» lanciato come un fulmine a ciel sereno sulle spalle di Giuseppe Conte da Guy Verhofstadt, leader dei liberali dell’Alde, il titolo dell’intervento del capo dell’esecutivo giallo verde al parlamento europeo sarebbe venuto da un passaggio del discorso del premier italiano sulla gestione (o non gestione) europea dei migranti. «La proposta di riforma del Regolamento di Dublino, approvata dal Parlamento Europeo a novembre del 2017, non è sostenibile nell’attuale Unione Europea - ha ammesso Conte -. Prevale, purtroppo, l’indisponibilità della maggioranza degli Stati Membri a partecipare ad una solidarietà automatica e obbligatoria».
L’appello di Conte ai paesi Ue: smettiamo di rimanere divisi
Un passaggio che, sostanzialmente, prende atto, di fronte all’assemblea di un’istituzione europea, che il tentativo promosso
nei mesi scorsi dall’Italia di cambiare le regole in base alle quali i richiedenti asilo vengono destinati a un paese dell’Unione
e non a un altro - battaglia che ha visto scendere in campo in particolare il ministro dell’Interno Matteo Salvini, ma anche
lo stesso Conte e il responsabile degli Affari esteri Moavero Milanesi - non solo non è andato, ad oggi, a buon fine, ma sembrano
esserci i margini perché il dossier si concluda con un esito positivo, e quindi con nuove regole. L’Italia alza bandiera bianca.
«Smettiamo di rimanere divisi - è l’appello lanciato dal premier - cedendo a logiche nazionaliste o regionaliste, e cerchiamo
di mettere in pratica un’autentica solidarietà, così da ripristinare un’Europa rispettosa delle vite umane e della propria
sicurezza». Quella di riformare il sistema europeo comune di asilo è, in realtà, una vecchia partita: nel maggio e nel luglio
del 2016 la Commissione Ue aveva presentato a Parlamento e Consiglio una proposta per cambiare il cosiddetto Regolamento di
Dublino III.
Il pressing del governo giallo verde
Il superamento di Dublino è previsto nel contratto di governo («Il rispetto del principio di equa ripartizione delle responsabilità
sancito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea deve essere garantito attraverso il ricollocamento obbligatorio
e automatico dei richiedenti asilo tra gli stati membri dell'Unione europea, in base a parametri oggettivi e quantificabili».
L’esecutivo giallo verde, fin dai giorni successivi al suo insediamento, ha premuto per cambiare quelle regole, entrate in
vigore nel 2014. L’Italia ha messo in discussione il principio in base alla quale la richiesta di asilo va inoltrata nel paese
di prima accoglienza o di primo ingresso nell’Ue. Una regola la cui applicazione fa ricadere il peso della gestione dei flussi
sulle spalle dei paesi europei che, per la collocazione geografica che hanno, intercettano i flussi migratori: Italia, Grecia
e ultimamente, dopo la strategia di chiusura dei porti alle navi delle ong promossa dall’esecutivo Conte, la Spagna. Lo Stato
competente è obbligato a prendere in carico il richiedente che ha presentato richiesta di protezione in un altro Stato. Ad
esempio, un cittadino straniero entrato in maniera irregolare in Italia e poi arrivato in Germania - dove presenta richiesta
di asilo - dovrebbe essere trasferito in Italia (è il fenomeno dei migranti secondari).
L’Italia blocca la proposta di compromesso della presidenza bulgara
A giugno, a pochissimi giorni dall’insediamento del governo Conte, in occasione del Consiglio Giustizia e Affari interni che
si è tenuto a Lussemburgo, l’Italia, su spinta soprattutto del neo ministro dell’Interno Salvini, ha stoppato la proposta
di modifica del regolamento di Dublino messa giù, dopo un’intensa (e non facile) mediazione tra i partner europei, dalla presidenza
bulgara del Consiglio perché - sottolineava il responsabile del Viminale in quei giorni - «condanna i Paesi del Mediterraneo,
Italia Spagna, Cipro e Malta, ad essere da soli». La bozza presentata dalla Bulgaria era una sorta di compromesso, in vista
di un accordo politico che sarebbe dovuto arrivare qualche giorno dopo, a fine mese, in occasione del Consiglio europeo. Se
fosse stata accolta, ci sarebbe stato un superamento del principio del primo ingresso. Ma così non è accaduto: il gruppo di
Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) ha fatto muro contro le quote di ripartizione. Oltre ai paesi dell’Est
europeo e all’Italia, la proposta è caduta sotto il no di Spagna, Germania, Austria, Estonia, Lettonia e Lituania.
Le conclusioni del Consiglio europeo
Nelle conclusioni del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno, che ha avuto il tema migranti all’ordine del giorno, al punto
12 si legge che «è necessario trovare un consenso sul regolamento Dublino per riformarlo sulla base di un equilibrio tra responsabilità
e solidarietà, tenendo conto delle persone sbarcate a seguito di operazioni di ricerca e soccorso. È altresì necessario un
ulteriore esame della proposta sulle procedure di asilo. Il Consiglio europeo sottolinea la necessità di trovare una soluzione
rapida all'intero pacchetto e invita il Consiglio a proseguire i lavori al fine di concluderli quanto prima». Insomma, una
dichiarazione di intenti, senza alcun accordo concreto.
Al vertice di Bucarest di febbraio 2019 l’ennesimo nulla di fatto
Al vertice dei ministri dell’Interno dell’Ue, che si è svolto a Bucarest a inizio mese per discutere della politica migratoria
europea, l’ennesimo nulla di fatto. Nonostante i grandi sforzi per imporre quote obbligatorie di accoglienza dei rifugiati,
rifondare il regolamento di Dublino per la ripartizione più equa di chi chiede asilo e creare una polizia delle frontiere
Ue trasformando Frontex, Bruxelles si continua a scontrare con le diverse posizioni degli Stati membri, più divisi che mai
e bloccati dai Visegrad. Le parole di Conte a Strasburgo raccontano proprio questa storia. Una sorta di ammissione che, alla
fine, la sfida del governo giallo verde per cambiare le regole europee non è stata vinta.
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