Dal secessionismo delle origini alla «autonomia differenziata» di Lombardia e Veneto (all’ordine del giorno del Cdm odierno) passando per il federalismo e la devolution. È la traiettoria del Carroccio in trenta anni di attività politica. Con il paradosso di una autonomia regionale, ormai a portata di mano, incassata dal Carroccio in concomitanza con la svolta “sovranista” del leader Matteo Salvini, che ha accantonato la vocazione “nordista” e ha puntato a radicare il partito su tutto il territorio nazionale, all’insegna dello slogan “Prima gli italiani”.
La svolta secessionista
La Lega Nord nacque nel 1989. Il Carroccio, guidato da Umberto Bossi, propose inizialmente un’unione federativa della macro-regione Padania con le restanti parti della Repubblica Italiana.
Il termine Padania entrò ufficialmente nel vocabolario della allora Lega Nord Italia Federale nel 1995 a seguito della crisi
del governo Berlusconi I, la rottura dell’alleanza tra Lega, da una parte, e Fi e An, dall’altra. Il movimento passò a una
politica dichiaratamente secessionista e dal 1997 mutò nome in Lega Nord per l’Indipendenza della Padania.
Il passaggio (fallito) alla devolution
Negli anni successivi il tentativo di secessione fu parzialmente abbandonato: Fi e An, da una parte, e la Lega, dall’altra,
si riavvicinarono in vista delle elezioni del 2001. Il Carroccio depose l’ascia della secessione a favore di un progetto
più moderato di devoluzione, ovvero del trasferimento di una parte significativa delle competenze legislative e amministrative
dallo stato centrale alle regioni. Dopo la prima riforma del Titolo V della costituzione (nel 2001) voluta dal centrosinistra,
che ha rafforzato i poteri delle regioni, il governo di centrodestra approvò nel 2005 una complessa riforma costituzionale
che conteneva anche la devolution (il passaggio alle regioni della potestà legislativa esclusiva in alcune materie come organizzazione scolastica, polizia amministrativa regionale e locale, assistenza e organizzazione sanitaria). Ma tutto andò in fumo con la bocciatura del referendum costituzionale del 2006.
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Il federalismo fiscale incompiuto
Dopo il fallimento della devolution, il cavallo di battaglia della Lega divenne il federalismo fiscale: una riforma, a firma
del leghista Roberto Calderoli, che prevedeva l’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati.
Il tutto si concretizzò nella legge delega 5 maggio 2009, n. 42, che conteneva i principi e i criteri direttivi per l’attuazione
del federalismo fiscale. Non più una riforma costituzionale, quindi, ma una legge delega che si inseriva nel solco dell’articolo
119 della Costituzione. Furono emanati nove decreti legislativi, ma tutto si arenò nel 2011 con la caduta del governo Berlusconi, l’aggravarsi della crisi economica e finanziaria e la necessità di una maggior centralizzazione
delle decisioni di entrata e di spesa.
L’arrivo della Lega sovranista di Salvini
Con la segreteria di Matteo Salvini, l’indipendentismo padano è stato accantonato. Ed è iniziata una strategia di radicamento
al Sud. Dal 2014 il partito è stato rappresentato nell’Italia meridionale dal soggetto politico Noi con Salvini. Dal 21 dicembre 2017 il partito ha rimosso la parola “Nord” e il Sole delle Alpi dal proprio simbolo, presentandosi ai successivi
appuntamenti elettorali solo come Lega.
Ddl sull’autonomia al traguardo
Si tratta di un processo che è andato di pari passo però con la richiesta di maggiore autonomia da parte dei governatori leghisti
del Nord. Il 22 ottobre in Lobardia e Veneto sono passati i referendum che chiedevano di «intraprendere le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori
forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116,
terzo comma». I tavoli tecnici aperti tra Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna e i singoli ministeri, porteranno oggi alla
firma dell'intesa sull'autonomia tra Giuseppe Conte e i tre governatori. Lombardia e Veneto puntano a tutte le 23 competenze
oggi in coabitazione con lo Stato. E vogliono avere l’ultima parola su grandi temi come l’istruzione, l’ambiente o il governo
del territorio.
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