Per il via libera alle intese sull’autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna serve ancora tempo. E un vertice politico che la prossima settimana impegnerà il premier Conte e i suoi due vice Di Maio e Salvini. Sui testi, arrivati giovedì 14 febbraio in consiglio dei ministri in forma aperta e circondati dalle tensioni Lega-M5S, bisogna risolvere i tanti punti interrogativi che continuano ad animare il confronto soprattutto con Milano e Venezia.
Un po’ più facile l’accordo con l’Emilia Romagna, le cui richieste sono meno ambiziose. Al di là delle dichiarazioni ottimiste dei governatori Fontana (Lombardia) e Zaia (Veneto), che parlano di «risultato importante» e di «ultimo miglio», lo scontro fra i due alleati di governo rimane.
In gioco c’è una serie di poteri che i ministeri non vogliono cedere. E una torta che per i «no» arrivati da molti ministeri e le richieste leggere di Bologna si può valutare intorno agli 11 miliardi di euro, all’interno dei 21 totalizzati dall’insieme delle competenze potenzialmente trasferibili alle Regioni. Non si tratta di soldi in più da mettere nel conto della finanza pubblica. Ma di fondi statali da regionalizzare. All’inizio, almeno. Perché poi l’entrata in gioco dei fabbisogni standard, e della clausola che garantisce alle regioni del Nord una dote pari almeno alla media pro capite nazionale, promette di cambiare il quadro. Ed è proprio questo il punto che continua a dividere i due alleati di governo, in un percorso su cui il Quirinale vigila con attenzione.
Non a caso la riunione a Palazzo Chigi è stata preceduta da un dossier Cinque Stelle in cui si mettono nero su bianco due paletti. «Il trasferimento di funzioni - sottolineano - non deve essere un modo per sbilanciare l’erogazione di servizi essenziali a favore delle regioni più ricche», perché non possono esserci «cittadini di serie A e cittadini di serie B». Prospettiva smentita dal leader della Lega Salvini perché «chi spende meglio avrà servizi più efficienti e risparmierà». Ma lo snodo chiave del tentativo M5S è quello di mettere al centro il Parlamento dando a Camera e Senato «la possibilità di correggere le intese». Il Carroccio però alza un muro. «Stiamo valutando come coinvolgere il parlamento», spiega Salvini. Ma «è difficile che i disegni di legge siano emendabili dopo l’intesa perché la cambierebbero», taglia corto la ministra per gli Affari regionali Erika Stefani, concedendo al massimo il passaggio in commissione prima che il premier Conte firmi.
Lo scontro è pratico: M5S teme di non riuscire a controllare del tutto le ricadute sul Sud dell’accordo, anche se a suggellarlo è la firma del presidente del Consiglio. La Lega al contrario vuole evitare che in Parlamento i tempi si allunghino troppo e le intese vengano stravolte dal tiro incrociato di grillini e opposizioni. L’autonomia spacca infatti tutti i partiti fuori dalla maggioranza, dal Pd a Forza Italia.
Ma dall’eventuale confronto parlamentare siamo ancora lontani. Prima c’è da decidere se Lombardia e Veneto potranno gestire in prima persona le concessioni su strade, autostrade e ferrovie, avere l’ultima parola su rifiuti, bonifiche e valutazioni d’impatto ambientale, liberarsi degli attuali tetti di spesa per il personale della sanità, gestire direttamente gli ammortizzatori sociali e inserire nei propri organici le sovrintendenze. Su tutti questi punti nelle scorse settimane sono arrivati i «no» dei ministeri. E basta una scorsa ai temi in gioco, cioè ambiente, lavoro, sanità, infrastrutture e cultura, per capire che tutti gli stop sono arrivati dai Cinque Stelle.
Cinque Stelle che a sorpresa sembrano invece cedere su un altro fronte caldo per gli enti territoriali: il ritorno delle province vecchia maniera, con competenze accresciute ed elezione diretta di presidenti e consigli. A spingere, al tavolo sulla riforma degli enti locali, è la Lega. Ma nella riunione di ieri la sottosegretaria all’Economia Laura Castelli riconosce che «il tema del sistema di elezione di questi enti deve essere affrontato, e non può essere slegato dalle funzioni che esercitano».
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