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Presidenza Inps: chi è Tridico, il prof M5S anti-austerity

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verso la guida dell’istituto

Presidenza Inps: chi è Tridico, il prof M5S anti-austerity

Pasquale Tridico si avvia a grandi passi verso la presidenza dell'Inps. È la sua nomina, su cui ieri è stata raggiunta l'intesa nel vertice politico a Palazzo Chigi, il primo effetto del salvataggio di Matteo Salvini da parte del M5S: il “tributo” pagato dalla Lega alla fedeltà dimostrata dall'alleato di governo. Per Tridico il Movimento si era battuto sin dall'inizio. Docente di Politica economica all'Università di Roma Tre, nato il 21 settembre del 1975 a Scala Coeli, un piccolo comune in provincia di Cosenza, è il super consulente di Luigi Di Maio sul reddito di cittadinanza. Logico che il vicepremier M5S lo volesse fortemente alla guida dell'Istituto per i prossimi quattro anni: da lui dipenderà la gestione concreta della nuova misura di contrasto alla povertà, il provvedimento bandiera su cui i Cinque Stelle puntano come non mai anche per recuperare consensi nelle prossime tornate elettorali, dopo il tracollo in Abruzzo.

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Era candidato alla guida del ministero del Lavoro
La collaborazione con i pentastellati risale a qualche anno fa e passa attraverso Nunzia Catalfo, la senatrice M5S prima firmataria della proposta di legge del 2013 sul reddito di cittadinanza. Di Maio lo aveva indicato come suo candidato ministro del Lavoro nella squadra di governo presentata prima delle politiche del 4 marzo. Dopo le elezioni ha rifiutato l’incarico anche per l’assenza, nel contratto di governo con la Lega, del ritorno dell’articolo 18.

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La carriera universitaria
Laureato nel 2000 in Scienze politiche alla Sapienza, Tridico consegue subito dopo un master in Economia e relazioni internazionali presso la Sioi. Nel 2002 vince una Marie Curie Fellowship all'Università del Sussex a Brighton, nel Regno Unito, dove frequenta i corsi del master in Economia e Integrazione economica europea. Nel 2004 ottiene il dottorato di ricerca in Economia politica a Roma Tre, dove comincia a svolgere attività di ricerca e project manager. Nel suo curriculum annovera di essere stato Fullbright Research Scholar alla New York University nel 2010-2011, presso il Center of European studies, e ricercatore esterno associato all'Institute for International Integration Studies al Trinity College di Dublino, in Irlanda, nonché diverse attività come vitising professor in vari atenei europei. Prima docente a contratto di Economia dell'Unione europea alla Sapienza presso il corso di laurea in Mediazione linguistica e culturale, dal 2009 insegna Economia del Lavoro a Roma Tre e dal 2014 Politica economica (ordinario da quest'anno).

L'attenzione alle disuguaglianze
Quattro le monografie a sua firma. L'ultima, “Economia del lavoro”, è appena stata pubblicata da Mondadori Università. Nella precedente, “Inequality in Financial Capitalism” (Routledge, 2017), formula la sua diagnosi sui mali economici del nostro tempo: «L’aumento della disuguaglianza, molto marcata negli ultimi due-tre decenni, è causata da un cambiamento radicale delle principali caratteristiche del modello socio-economico nelle economie avanzate. Questo cambiamento comporta uno spostamento verso la finanziarizzazione, una pressione sul lavoro attraverso una maggiore flessibilità, il declino dei sindacati e il ridimensionamento della spesa sociale». Il libro nasce da una ricerca che ha preso in considerazione 34 Paesi Ocse, tra cui l'Italia, tra il 1990 e il 2013. Nelle presentazioni in giro per l’Italia e per l’Europa (tra cui quella al Senato il 13 aprile 2017 voluta proprio dai Cinque Stelle), Tridico chiarisce e difende la sua visione: le disuguaglianze - tragicamente aumentate («Nell'area Ocse il 10% più ricco guadagna 10 volte il reddito del 10% più povero, nel mondo il top 1% guadagna il 48% della ricchezza globale, e la crisi ha accresciuto la forbice») – sono strettamente collegate al «capitalismo finanziario, che favorisce l’attuazione aggressiva del principio “riduci e distribuisci”», con «strategie di breve termine», asset impiegati «prevalentemente nelle strategie di speculazione finanziaria piuttosto che in investimenti produttivi» e «istituzioni del mercato del lavoro, in particolare la flessibilità, funzionali a queste strategie».

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Richiamando l’approccio neo-keynesiano e citando Stockhammer, Galbraith e Stiglitz, Tridico sostiene che la disuguaglianza generata dalla finanziarizzazione dell’economia «aumenta la vulnerabilità del reddito e riduce il potere d'acquisto dei lavoratori» e in generale indebolisce la domanda aggregata «in quanto gruppi con reddito più elevato spendono una quota molto minore del reddito». Critico con le “politiche monetarie generose” di Bce e Fed (a suo avviso «il Qe ha favorito le speculazioni rispetto agli investimenti produttivi, impedendo l'effetto Keynes») è convinto che rivedere il welfare inseguendo la “tesi dell’efficienza”, è stato un altro errore cui bisognerebbe porre rimedio.

La partita di reddito e pensioni
Contro la stagnazione, che ora è diventata recessione tecnica, Tridico suggerisce tre ricette: usare la leva di politica fiscale, invece della politica monetaria e del Qe; attuare politiche di redistribuzione del reddito e aumenti salariali che compensino la scarsa domanda aggregata; sviluppare un programma di investimenti pubblici. Tradotte in Italia: invertire la strada imboccata con il Jobs Act e con il decreto Poletti sui contratti a tempo determinato, come è stato fatto con il decreto dignità, e introdurre il reddito di cittadinanza che nella versione infine adottata dal Governo gialloverde è una forma di reddito minimo non universale, ma condizionata alla ricerca attiva di un lavoro. È proprio sul cavallo di battaglia del M5S che le strade di Tridico e quelle del Movimento si sono incrociate. Fino a portarlo ora ai vertici dell’Istituto nazionale di previdenza come successore di Tito Boeri. Dove arriva con la doppia partito del reddito e delle pensioni da gestire, ma non da uomo solo al comando: secondo la riforma della governance dell’Istituto prevista dal decretone, sarà assistito da un Cda a cinque componenti. E l’accordo politico siglato ieri prevede l’affiancamento di un vicepresidente scelto dalla Lega. A tutti loro il compito di tenere il timone dell’Inps, una macchina il cui bilancio è secondo solo a quello dello Stato e che non ha pari in Europa per dimensioni e numero di servizi di welfare garantiti: nel 2018 ha pagato prestazioni per 340 miliardi e incassato oltre 230 miliardi di contributi previdenziali. Mentre incombe la corsa dei trasferimenti assistenziali: 110,15 miliardi di euro nel 2017 (+26,65 miliardi dal 2012), destinati a lievitare a 120 miliardi quest’anno proprio con l’attuazione del reddito e delle pensioni di cittadinanza.

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