La decisione è politica, hanno ripetuto in fila il premier Conte, il ministro titolare della materia Toninelli e i vicepremier Salvini e Di Maio. Sulla Tav nessuno ha dubbi che la decisione sia politica. Come è chiaro che politicamente siamo alla paralisi, con i Cinquestelle sempre più “No Tav” e la Lega che ha ribadito ancora oggi – dopo aver visto alcuni giornali che le attribuivano un cedimento – di essere fortemente “Si Tav”. Incollati alle due posizioni dei partner di governo ci sono robusti pacchetti di voti (quelli del Nord imprenditoriale per la Lega e quella degli ortodossi del movimento per M5S) che hanno prodotto fin dalla firma del contratto di governo una posizione di stallo. Anche la mozione parlamentare in votazione oggi prende solo tempo e rinvia, richiamandosi a quel compromesso del “non fare”.
Il fattore tempo
Tutto intorno alla paralisi governativa, incombe il fattore-tempo che presenta molte facce serissime: 1) i bandi di Telt,
la società costruttrice, che ha deciso di rinviare a marzo, ma con quella che sembra l’ultima proroga della Ue; 2) il check
up sui Corridoi europei a maggio-giugno, dove l’Italia dovrà presentarsi non con una posizione vaga o interlocutoria, ma con
proposte chiare sui tempi con cui andare avanti o con un piano B per riassegnare i fondi a progetti alternativi; 3) le elezioni
europee del 26 maggio e soprattutto quelle, lo stesso giorno, in Piemonte che saranno un test soprattutto per la Lega, per
capire se il dato piemontese sarà diverso da quello del resto d’Italia; 4) l’imbarazzo del governo che nel Def e nella partita
con l’Europa sulla manovra-bis e sulla manovra 2020 continua a ripetere che l’unica misura per rilanciare il Pil (in zona
recessione) è il rilancio delle infrastrutture e degli investimenti pubblici e poi non trova di meglio che smontare l’unico
grande programma infrastrutturale europeo e italiano, le grandi reti ferroviarie ad alta velocità comprese nei corridoi Ten-T.
La mancanza di una posizione mediana
Tutti fattori che imporrebbero una decisione in tempi rapidi che probabilmente non arriverà. E non arriverà non solo per le
tattiche dilatorie dei due partiti, ma perché in queste settimane non è stata sviluppata una sola posizione, politica o tecnica,
che faccia crescere e irrobustire una posizione mediana. Anzi l’area della mediazione è stata prosciugata. L’analisi costi-benefici,
si è capito dopo la pubblicazione, era finalizzata solo a dare munizioni ai “No Tav” e trascura perfino di considerare i costi
italiani di realizzare l’opera (il professor Francesco Ramella rivendica orgogliosamente questa posizione in un suo intervento
pubblicato oggi sul Fatto quotidiano). L’analisi coordinata da Marco Ponti è stata fatta a pezzi da una pioggia di interventi
qualificati e tecnici e oggi sembra poco autorevole e poco adatta a fare da base per la discussione Lega-M5S. Le ipotesi,
avanzate a suo tempo dalla Lega, di modifica al progetto per ridurre i costi, sono state accantonate. Il costo del “non fare”
fissato intorno ai 4 miliardi – dato clou per il decisore politico – non sembra esistere per Toninelli che lo ha molto sminuito
come puramente teorico.
Analisi costi-benefici da integrare
L’unica soluzione sarebbe forse cercare di ricomporre un dialogo civile – anche con le imprese, le componenti sociali, i molti
esperti intervenuti, le opposizioni, pezzi della maggioranza – attraverso una “integrazione” all’analisi costi-benefici che,
senza tirarla troppo per le lunghe, tenesse conto almeno dei due aspetti più contestati: aver ignorato i costi per l’Italia
e il calcolo di accise e pedaggi come costo dell’opera (senza un integrale sterilizzazione attraverso il surplus del consumatore).
Per ora Toninelli non sembra interessato a fare questa apertura, ma potrebbe davvero essere un modo per correggere errori,
ridare un senso alla discussione pubblica, rompere l’isolamento totale dei Cinque stelle, provare a cercare posizioni di governo
meno divaricanti su un tema nazionale, come quello delle infrastrutture, dove i tempi di programmazione, progettazione, realizzazione
vanno oltre l’orizzonte di una legislatura. Tanto più se a rischio interruzione.
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