Il test del voto in Sardegna vale doppio per Matteo Salvini. Se il candidato governatore del centrodestra Christian Solinas, senatore di Lega-Partito sardo d’azione, si affermasse grazie al traino del Carroccio, l’Isola sarebbe la prima regione del Sud realmente conquistata dai leghisti, già gongolanti per il primato abruzzese del 10 febbraio.
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Se poi vincesse con un margine molto ampio rispetto al candidato M5S Francesco Desogus sarebbe un segnale inequivocabile dell’avanzata del Carroccio nel Mezzogiorno. Una freccia preziosa all’arco di quella “Lega nazionale” forte ormai anche lontano dai territori storici del leghismo.
Sono gli stessi motivi per cui il Movimento di Luigi Di Maio guarda con particolare apprensione alle elezioni sarde. Alle politiche del 4 marzo per il M5S nella regione era stato quasi un plebiscito: aveva conquistato oltre il 42% dei voti, con la Lega ferma all’11 %. Un ciclone che però non si è ripetuto alle suppletive di Cagliari, lo scorso gennaio, indette per sostituire il velista Andrea Mura, deputato pentastellato che si era dimesso per le polemiche sulle sue continue assenze da Montecitorio e per la sua giustificazione («L’attività politica si può svolgere anche da una barca»). Il seggio è stato sfilato dal centrosinistra e il Movimento, complice un’affluenza bloccata sotto il 16%, è crollato al 28%.
Il timore che serpeggia tra i Cinque Stelle è quello di superare, in negativo, la già deludente performance abruzzese. Ovvero di scendere addirittura sotto il 20%, considerata da Di Maio e dai suoi la soglia per poter evitare di parlare di débâcle. Ma ci sarebbe comunque da digerire la vittoria di un governatore direttamente collegato alla Lega (mentre Marco Marsilio in Abruzzo era espressione di Fdi) e per questo vissuto anche da Silvio Berlusconi come un campanello d’allarme per Forza Italia.
Alla vigilia nel M5S pesa anche la preoccupazione di un nuovo sorpasso da parte del centrosinistra con il sindaco di Cagliari Massimo Zedda (candidato al posto del governatore uscente Francesco Pigliaru), sostenuto da nove liste, che confida nella riscossa della sinistra attraverso un laboratorio politico sostenuto dai primi cittadini. A lui ieri l’ex premier Paolo Gentiloni ha lanciato la volata, violando il silenzio elettorale con un tweet: «Domani per il futuro della Sardegna la scelta è tra Massimo Zedda e Salvini. Un giovane e brillante amministratore sardo contro l’uomo mascherato». Salvini, da Verona, ha profetizzato: «Conto che le elezioni daranno un’ennesima batosta alla sinistra, che sta perdendo ovunque si presenti».
Anche lo scontro politico esclude il M5S. Non a caso Di Maio è tornato in Sardegna soltanto venerdì per chiudere la campagna elettorale. Non in piazza, ma in un hotel, dove ha lasciato a Desogus il compito di dichiarare che «il M5S c’è e rimane forte come il 4 marzo». Il capo politico si è limitato a lanciare qualche bordata a Salvini, prima sui pastori («Anche io sono con loro ma non dico che risolvo tutto in 24 ore») e poi sul nucleare («Ho sentito che il centrodestra chiede di farlo, è una follia»). Tentativi di distinguo dalla Lega, secondo la linea concordata al pranzo romano di giovedì con Grillo e Casaleggio. Che guardano più al futuro, le europee di maggio (quando il reddito di cittadinanza sarà decollato), che al presente. Da Cagliari Di Maio ha infatti rilanciato il tema della riorganizzazione nazionale e locale del Movimento, di cui si parlerà già martedì nell’assemblea con il gruppo parlamentare in fibrillazione e che poi sarà ratificata su Rousseau.
In Sardegna Salvini è stato invece ancora tutta la settimana e non ha mai evitato di chiedere un sostegno diretto alla Lega, anche a costo di irritare gli alleati di centrodestra. D’altronde, nell’Isola si è mobilitato lo stato maggiore del Carroccio, dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti al ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio.
Fonti leghiste e pentastellate garantiscono comunque che il responso degli 1,4 milioni di elettori sardi chiamati alle urne non cambierà gli equilibri nel Governo. Sono le europee la vera prova nazionale. Anche se Di Maio ha respinto l’allarme di Fitch su possibili elezioni anticipate dopo maggio (si veda anche a pag. 4). Nella Lega a fare da pompiere è stato il ministro Lorenzo Fontana, braccio destro di Salvini: «Il voto europeo serve a cambiare l’Europa e non l’Italia». Ma c’è chi scommette che la navigazione nei prossimi tre mesi sarà agitata. E che dopo nessuno scenario sarà escluso.
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