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M5S, Sardegna peggio dell’Abruzzo: cronaca di un tracollo annunciato

Il peggiore degli incubi Cinque Stelle sembra avverarsi: secondo gli exit poll delle 22 non solo il candidato Francesco Desogus si è piazzato terzo dopo il senatore della Lega-Partito sardo d'azione Christian Solinas e dopo il sindaco di Cagliari Massimo Zedda del centrosinistra, ma è fermo tra il 13 e il 17%, con la lista tra il 14 e il 18%. Ben al di sotto della “linea del Piave” del 20%, la soglia mantenuta in Abruzzo. Un'emorragia di consensi pesantissima rispetto alle politiche, considerando che il Movimento il 4 marzo aveva conquistato nell'Isola il 42% dei voti.

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Ma il primo commento ufficiale del M5S è positivo: “Dagli exit poll risultiamo prima forza politica. Attendiamo i risultati definitivi. Considerando che è la prima volta che ci presentiamo alle regionali in Sardegna siamo molto soddisfatti del fatto che entreremo nel Consiglio regionale per la prima volta”. Dietro le quinte prevale però lo scoramento.

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“Ce lo aspettavamo”, allarga le braccia un big molto vicino a Luigi Di Maio. “Dopo i risultati abruzzesi nessuno pensava a una rimonta, anzi”. Ma la vittoria di Solinas sarebbe il primo vero sfondamento del Carroccio al Sud, che alle politiche del 2018 si era trasformato nel feudo M5S. Il sogno della “Lega nazionale” di Matteo Salvini che prende forma, dopo nove mesi di Governo gialloverde. Segno che l'esperienza a Palazzo Chigi ha fatto prendere il volo ai leghisti, danneggiando invece i Cinque Stelle. Vampirizzati anche nel Mezzogiorno.

Un tracollo annunciato, ma ugualmente bruciante. Perché conferma quel rovesciamento dei rapporti di forza nell'Esecutivo già evidente da tempo nei sondaggi e perché non depone affatto bene in vista di quello che è considerato il vero test nazionale: le elezioni europee del 26 maggio. Quando i leghisti contano di fare il pieno di consensi, e poi farli valere all'interno.

La competizione con la Lega

Per ora la posizione dei vertici M5S resta una: non drammatizzare, attribuendo anche il risultato sardo alla scarsa solidità sui territori, ma procedere in fretta alla riorganizzazione interna concordata nel pranzo romano di giovedì scorso tra Grillo, Casaleggio e Di Maio. Che muoverà dalla costituzione di una squadra nazionale suddivisa per temi e di referenti regionali, prima ancora dell'apertura alle liste civiche e alla cancellazione del vincolo dei due mandati a livello amministrativo: una strada per allargare i processi decisionali e per valorizzare anche gli esponenti dell'area del dissenso che fanno riferimento al presidente della Camera Roberto Fico. Ma loro, al momento, non sembrano affatto accontentarsi di rimodulazioni calate dall'alto.

D'altronde da mesi i fedelissimi di Fico, dal deputato Luigi Gallo alla senatrice Paola Nugnes, ammonivano sui rischi di un eccessivo appiattimento sulla Lega. Idem aveva fatto la consigliera regionale del Lazio Roberta Lombardi che, commentando la decisione di votare no al processo al vicepremier del Carroccio, aveva avvisato quasi profetica: “Salvare Salvini ci costerà caro. E alla fine a dettare la linea, quando ormai sarà troppo tardi, saranno i nostri elettori”.
Elettori in fuga, appunto. In Abruzzo soprattutto verso l'astensione. In Sardegna lo diranno i flussi, ma a giudicare dai dati di affluenza (in lieve aumento rispetto alle regionali del 2014) lo spostamento sembra invece diretto da un lato a rafforzare l'”avversario alleato di Governo”, dall'altro a premiare Zedda, il cui successo sembra andare ben al di là di quello delle sue liste. Come se la liquidità del Movimento, che era la sua forza prima del 4 marzo, fosse diventata la sua debolezza. Volatilizzando i consensi con la stessa velocità con cui li aveva attratti.

Le conseguenze sul governo

“Nessuna conseguenza sul Governo”, si sono preventivamente affrettati a precisare tutti i leader. Lo stesso premier Giuseppe Conte, dal Corriere della Sera, ha voluto rassicurare sulla tenuta della sua compagine anche dopo le europee. Ma tra i leghisti non si dà più nulla per scontato. E in questi tre mesi che separano dal 26 maggio i Cinque Stelle avranno bisogno come non mai di distinguersi dagli alleati. È vero che il reddito di cittadinanza sarà decollato ma la sua efficienza, come la sua forza in termini elettorali, è tutta da dimostrare. E sul tavolo scottano i dossier Tav e autonomia. Mentre Di Maio, che martedì vedrà i suoi parlamentari, ha l'urgenza di ricompattare il suo gruppo. Anche per evitare diaspore, in primis verso la Lega. O addirittura scissioni.

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