Sarà che uno dei suoi obiettivi è «riportare a casa» quella parte dell’elettorato di centrosinistra che è approdato al M5s perché nel Pd non hanno trovato spazio sufficiente i temi dell’ambiente. Sarà che in Europa spicca l’esempio dei Verdi tedeschi, capaci in Germania di intercettare i voti in uscita di una Spd in crisi. Fatto sta che il candidato segretario Nicola Zingaretti ha messo l’ambiente al centro del suo programma, puntando a una svolta “green” del partito. Lo ha fatto più dei suoi avversari Maurizio Martina e Roberto Giachetti.
Nella sua mozione il governatore del Lazio, raccontando la sua proposta per l’Italia mette subito al centro «una società più giusta» e un «modello di sviluppo sostenibile». Per Zingaretti «il primo obiettivo è costruire un modello di sviluppo che si fondi sulla sostenibilità ambientale.
Cinque le proposte per un “ New Deal verde” per l'Italia. La prima è «un nuovo piano di manutenzione del territorio e delle piccole opere contro il dissesto idrogeologico, da sviluppare in 5 anni e da finanziare con almeno 5 miliardi di euro l’anno, per coprire il fabbisogno indicato dalle Regioni. Si punta poi a «incentivare la produzione di fonti rinnovabili e l’autoproduzione di energia per cittadini, imprese e distretti, puntando a coprire almeno il 35% del consumo totale di energia entro il 2030». Come? Tramite «una riforma delle tariffe elettriche per favorire (anziché penalizzare, come avviene oggi) l’utilizzo da parte delle famiglie e delle imprese di energia autoprodotta con le rinnovabili». Terzo obiettivo è «favorire la transizione verso la mobilità elettrica, destinando il 50% degli investimenti in infrastrutture per la mobilità sostenibile nelle città e per il trasporto pubblico collettivo e condiviso» , nonché «promuovendo la realizzazione di colonnine di ricarica per le auto elettriche in aree private, permettendo una detrazione fiscale del 50% delle spese in 10 anni».
Quarta proposta: «avviare un grande programma di riqualificazione energetica e messa in sicurezza sismica degli edifici pubblici e privati». Zingaretti sottolinea che «gli investimenti potenziali sono enormi e produrrebbero grandi ricadute occupazionali e rilevanti benefici per le famiglie e le imprese». In questa prospettiva, «è fondamentale rafforzare e rendere permanenti gli incentivi verdi (bonus ristrutturazione, ecobonus e sismabonus; incentivi per la cura del verde) e stanziare fondi speciali a favore degli enti locali per la riqualificazione energetica e antisismica degli edifici pubblici. Infine occorre dare strumenti ai comuni per affrontare l'adattamento ai cambiamenti climatici, prevedendo anche un piano di riforestazione, valorizzazione e manutenzione del verde e demolizioni più semplici e veloci degli abusi nelle zone a rischio». Fondamentale in tal senso è l'approvazione della legge contro il consumo di suolo.
Non solo. Zingaretti spinge per «l’introduzione a livello europeo di una carbon tax su carbone, petrolio e gas (fossil fuel contribution), secondo la proposta avanzata nel febbraio 2018 da 19 economisti europei», che «permetterebbe di finanziare la transizione energetica “socialmente sostenibile”, incrementando i fondi destinati ai trasporti pubblici nelle città, alla riqualificazione professionale di chi ha perso il lavoro nelle industrie più inquinanti, allo sradicamento della povertà energetica». In Italia, una forte spinta allo sviluppo sostenibile potrebbe derivare «da una riforma fiscale green che –mantenendo invariata la pressione tributaria complessiva e prevedendo misure compensative per evitare impatti sociali e territoriali negativi -trasformi i sussidi dannosi per l'ambiente in incentivi per la riduzione dell'inquinamento».
Anche Martina, per la verità, dedica all’ecologia un capitolo del suo programma. Ma viene dopo i capitoli su uguaglianza, giovani, sud, scuola, università e diritto allo studio, imposta sui redditi progressiva, una «minimum tax» sulle multinazionali che operano in Italia, servizi pubblici, famiglie e cura delle persone. Per Martina «la transizione ecologica è una delle grandi discriminanti del nostro tempo e un riformismo radicale non può che metterla al centro della sua agenda». Si definisce «cruciale assumere l’obiettivo di zero emissioni di gas serra entro il 2045, lavorando per il taglio delle emissioni del 60% entro il 2030, partendo dalla produzione e dall'uso dell'energia pulita e dall'efficienza energetica». E si punta a «introdurre un sistema di incentivazione fiscale a favore di quei consumi ad alto valore sociale e ambientale, ponendo il tema anche in sede di Unione Europea. Un sistema di incentivazione sul modello della «green social consumption tax», una rimodulazione dell'Iva che tenga conto della responsabilità sociale e ambientale delle filiere produttive».
Un capitolo dedicato allo sviluppo sostenibile (solo il 12esimo però) si trova anche nella mozione Giachetti. Per quest’ultimo «è indispensabile rivedere interventi e incentivi per le fonti rinnovabili, che hanno ottenuto risultati positivi, ma si sono affastellati l’uno sull'altro, con conseguenze pesanti sulla bolletta energetica di famiglie ed imprese. Così come è possibile ridisegnare gli sgravi alle imprese energivore, limitandoli a quelle che operano in misura significativa sul mercato internazionale». Per Giachetti il Pd «deve presentarsi quindi come il soggetto politico più seriamente impegnato sulle sfide del cambiamento climatico». I fronti su cui investire sono: nuovi modelli di mobilità incentrati su mobilità elettrica, biciclette, trasporto pubblico; meno rifiuti, più riuso, più riciclo; deplastificazione; limitare consumo di suolo, cultura della demolizione e ristrutturazione; riforestazione per combattere il surriscaldamento; agricoltura sostenibile e cura dei territori; riattivazione del progetto “Casa Italia” e l’Unità di Missione sul dissesto idrogeologico.
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