Una ricetta in otto punti per salvare il Servizio sanitario nazionale. Un “paziente in codice rosso” afflitto da quattro malattie: definanziamento pubblico, ipertrofia del paniere dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), sprechi e inefficienze ed espansione incontrollata della sanità integrativa. A chiedere un piano di emergenza immediato è la Fondazione Gimbe, nel corso della 14esima Conferenza nazionale in corso a Bologna. «Serve un piano terapeutico personalizzato basato su un massiccio progetto di riforma – spiega il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta – a partire dal rilancio del finanziamento pubblico, dall’aumento delle capacità di verifica dello Stato sulle Regioni e da un piano nazionale anti sprechi che utilizzi criteri di rimborso value based».
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Nel 2010-19 il Ssn ha perso 37 miliardi
Nel periodo 2010-2019 al Ssn sono stati sottratti – secondo le stime Gimbe - 37 miliardi mentre il fabbisogno sanitario nazionale
è aumentato di 8,8 miliardi, con un incremento inferiore all’inflazione media. «E non ci sono luci in fondo al tunnel: la
nota di aggiornamento del Def ha operato un impercettibile lifting sul rapporto spesa sanitaria/Pil pari a +0,1% nel 2020-2021»,
aggiunge Cartabellotta. «Mentre la manovra 2019 si limita a portare in dote per quest’anno il miliardo già assegnato dalla
precedente legislatura e i prossimi incrementi di 2 miliardi nel 2020 e 1,5 miliardi nel 2021 sono legati ad ardite previsioni
di crescita».
Razionalizzare i Lea
Nel progetto di salvataggio del Ssn proposto dalla Fondazione Gimbe, anche una nuova definizione dei Lea, sulla base di un
Piano nazionale per la valutazione di tutte le tecnologie sanitarie (Hta). Non solo, la ricetta passa anche per il riordino
della sanità integrativa: agevolazioni limitate alle prestazioni extra-Lea e rapporti regolamentati tra fondi sanitari integrativi
e compagnie assicurative. A seguire, l’avvio di un contratto unico per i medici Ssn, la regolamentazione della libera professione
e un’integrazione pubblico-privato in cui sia potenziata l’indennità di esclusività e sia fissato un tetto alle risorse regionali
da destinare al privato accreditato. Infine la ricerca comparativa indipendente, da incentivare con meccanismi premiali per
le regioni e da finalizzare alla valutazione delle prestazioni da inserire nei Lea. «A 40 anni dalla sua nascita possiamo
dire che il Ssn è il bene più prezioso di cui dispone l’Italia – conclude Cartabellotta – e in qualità di azionisti di maggioranza
siamo chiamati a tutelarlo».
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Innovazione al centro
L’industria della sanità risponde all’appello ma sottolinea quanto fatto fino a oggi per migliorare le cure e la competitività
dell’Italia. «Se siamo diventati primi in Europa per produzione - dichiara il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi
– è perché crediamo in questo Paese. Per continuare a investire nella sanità pubblica e garantire l’accesso ai farmaci nuovi
che stanno arrivando, bisogna avere un’economia sana. E il nostro comparto ha dato un grande contributo. Siamo cresciuti del
24% quando tutta l’industria segnava -7% in produzione. Dati importanti perché non arrivano da una crescita dei consumi interni
ma dall’export». «Mi auguro che tutto questo possa continuare – continua Scaccabarozzi - con un’attenta gestione del finanziamento
del Ssn e un occhio di riguardo alla ricerca, che porterà innovazioni mai viste prima». E sulla sostenibilità della spesa,
secondo Scaccabarozzi, bisogna abbandonare «ricette di governance vecchie di 30 anni e irrealizzabili». Sotto la lente le
gare d’acquisto dei farmaci in equivalenza terapeutica. «Dire che i farmaci sono tutti uguali per poi sceglierne uno significa
non permettere alle industrie di far arrivare i propri medicinali ai malati. E azzerare la ricerca, che invece valorizza le
differenze. La sostenibilità è una parola chiave ma il passo fondamentale – conclude il presidente di Farmindustria - è considerare
la spesa farmaceutica all’interno di un percorso che mette al centro il paziente».
Sulla stessa linea Assogenerici. «C’è molta carne al fuoco – spiega il presidente Enrique Hausermann – e c’è stato un primo incontro al ministero, ma bisogna ancora discutere, perché così come è impostata, la nuova governance non porterà lontano. Risolti i vecchi contenziosi sul payback, i primi temi caldi da affrontare sono: il sistema di calcolo dei prezzi dei prodotti a brevetto scaduto, l’equivalenza terapeutica per le gare ospedaliere e la revisione del prontuario. Serve chiarezza. Bisogna arrivare a una soluzione logica che contemperi i problemi dell’industria nel contesto della tenuta del Ssn». Gli investimenti sono la priorità anche per Confindustria Dispositivi medici: «Il nostro ruolo è continuare a portare un’innovazione – sottolinea Massimiliano Boggetti, presidente in pectore della neonata associazione che riunisce l’intero mondo delle imprese di dispositivi medici - che abbia outcome sui pazienti ed efficienti il sistema, basandosi su dati che diano l’opportunità a Governo e ministero di fare valutazioni corrette».
Più cultura organizzativa e spazio alla scienza
Lavori in corso anche sul pianeta dei manager sanitari. «La priorità è l’investimento in risorse umane», spiega il presidente
della Federazione italiana aziende ospedaliere (Fiaso), Francesco Ripa di Meana. «I soldi ci sono. Serve un grande cantiere,
bisogna assumere medici e infermieri. E lavorare sulla formazione del middle management, che in questi anni di piani di rientro
è stato sottoutilizzato, sulla ricerca traslazionale e su una nuova cultura organizzativa. La sfida dell’innovazione va accettata.
Mentre le iniquità vanno governate».
GUARDA IL VIDEO - Vaccini, Burioni: lo Stato sia dalla parte della scienza e non della superstizione
Anche a partire dall’evidenza scientifica, principio cardine dell’attività della Fondazione Gimbe. Che quest’anno ha assegnato il premio Evidence 2019 al virologo Roberto Burioni. «Siamo davanti a grandi cambiamenti della scienza e delle cure – spiega - ma dobbiamo gestirli con criterio basandoci sulla scienza e non sulle stupidaggini che si leggono sul web». Burioni, docente all’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, è noto per le sue posizioni anti fake news e per aver lanciato il Patto per la scienza sottoscritto da Beppe Grillo e Matteo Renzi. «Far entrare a scuola i bambini non vaccinati significa lasciare fuori quelli che non si possono vaccinare, magari in seguito a una leucemia o perché sono troppo piccoli», afferma in merito alla proposta del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini di consentire l’ingresso fino a fine anno anche agli scolari non in regola. «Lo Stato - precisa - dev’essere dalla parte dei più deboli e non dei genitori che per superstizioni fanno una scelta egoisitica esponendo i loro figli e quelli degli altri a rischi inaccettabili. Poi, la scelta dell’obbligo o meno è una scelta politica. Vorrei vivere in un Paese dove non fosse necessario: in Messico, ad esempio, dal 1996 non c’è più il morbillo e neanche l’obbligo. Però le evidenze mostrano che nel nostro Paese negli ultimi due anni, anche grazie all’obbligo, le coperture vaccinali sono salite molto. Lo Stato deve stare dalla parte della scienza e con l’obbligo ha dato un segnale molto chiaro in questo senso».
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