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Di Maio-Salvini e la campagna separata sull’economia

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POLITICA 2.0

Di Maio-Salvini e la campagna separata sull’economia

Il botta e risposta di ieri su Confindustria tra Di Maio e Salvini sembra un altro pretesto per continuare una campagna elettorale da “separati”. Addirittura il leader leghista ha ritirato fuori la parola «gufi» - che ormai sembrava accantonata in era post-renziana - per criticare le analisi del centro studi degli industriali in cui si descrive un’Italia ferma e un Governo alle prese con scelte che «non saranno indolori». A schierarsi invece con le preoccupazioni delle imprese è stato Di Maio, da New York, che non ha usato il registro della negazione della realtà e ha invece rilanciato alcune misure per la crescita su cui molto avevano spinto le imprese e che erano già state adottate con il Governo Gentiloni-Calenda. Per usare un’espressione del vicepremier grillino, ormai ogni giorno ha il suo «graffio» ma c’è una grande differenza se le liti si concentrano sull’economia. Fare cioè una campagna elettorale da antagonisti, mettendo sul tavolo opzioni diverse o alternative non fa che produrre paralisi, l’esatto opposto di ciò che sarebbe necessario.

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Ieri per esempio è stato annunciato che a breve arriverà il decreto sblocca cantieri, ma è da più di un mese che se ne parla. Il tema del contendere è sempre lo stesso: le differenti “bandierine” che ciascuno vuole piantare, che siano le norme sulla rigenerazione urbana o quelle sul terremoto o il ruolo e le funzioni dei commissari. Sta di fatto che per rincorrere le propagande alternative sono passate settimane. E lo stesso può dirsi per il Dl sulla crescita che sarà un altro pezzo importante verso le elezioni di maggio. È come se le misure del decretone approvato ieri – quota 100 e reddito di cittadinanza – fossero ormai date per acquisite, pezzi di una campagna elettorale “vecchia” mentre oggi serve nuova legna sul fuoco. Nuova soprattutto perché i dati dell’economia incalzano e descrivono un anno di stagnazione.

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Ecco, è proprio su questo terreno che ieri Di Maio non ha perso l’occasione per ribattere alle provocazioni di Salvini su Confindustria ed è stato veloce e abile a intestarsi una misura come il superammortamento, scavalcando il suo alleato e pure Tria. Sempre ieri i 5 Stelle hanno fatto filtrare altre misure-bandiera da piantare nel decreto crescita: il marchio storico, l’aumento della deducibilità dell’Imu dai capannoni. È il segnale che la gara è in atto e che presto vedremo un altro braccio di ferro con la Lega che potrebbe opporre a una di queste misure il taglio dell’Ires. Una rincorsa che produce negoziati e tempi più lunghi mentre servirebbe correre. E forse nelle urne potrebbe pesare quest’uso della politica del rinvio che toglie smalto e novità al Governo del cambiamento.

Di Maio però non può fare altro che mettere il suo timbro in provvedimenti che fanno parte della titolarità del suo dicastero. Se c’è un argomento che gli brucia più di tutti è che in questi mesi si è fatto scavalcare dalla propaganda di Salvini e - adesso - non può consentirgli di occupare il suo spazio. Anche se il leader leghista lo farà lo stesso, Di Maio prova a contrastarlo e bruciarlo sui tempi.

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