In Italia sono maggioranza e governano, ma in Europa Lega e M5S rischiano l’emarginazione. Gli alleati di Matteo Salvini e Luigi Di Maio in questo momento sono partiti con scarso peso elettorale e in gran parte, se non tutti, forze di opposizione nei loro Paesi. Ma dopo il voto non è da escludere un rimescolamento delle carte, con i leader di Lega e M5S che, sempre separatamente a meno di clamorose sorprese, potrebbero abbandonare gli attuali alleati se si aprissero gli spazi per costruire maggioranze alternative a quella storica di Popolari e Socialisti.
Le difficoltà leghiste
Il leader del Carroccio è in difficoltà. Aveva scommesso sulla grande alleanza dei sovranisti, nella quale sarebbero dovuti
confluire i partiti di due gruppi: l’Enf, dove attualmente insieme ai leghisti militano Marine Le Pen (venerdì l’incontro
con Salvini a Parigi e l’annuncio che chiuderanno assieme la campagna elettorale) e qualche esponente dell’ultradestra tedesca
di Afd, e l’Ecr guidato dal polacco Jaroslaw Kaczyński dove è approdata recentemente Giorgia Meloni (Fdi) preceduta dai Democratici
svedesi. Ma in questa strategia rientrava anche Viktor Orbán, il premier ungherese di Fidesz, che però per ora ha preferito
restare nel Ppe e per non infastidire i Popolari ha disertato l’appuntamento dell’8 aprila a Milano organizzato da Salvini.
Il rapporto con gli spagnoli di Vox
Il vicepremier leghista conta anche sugli spagnoli di Vox, in grande ascesa. Ma finora sembrerebbero guardare al gruppo di
Kaczyński, visto che la Lega ha sposato la causa catalana contro la quale il partito di Santiago Abascal è schierato. Ma Guglielmo
Picchi, sottosegretario leghista agli Esteri, in tandem con Marco Zanni (europarlamentare ex M5s a cui ora Salvini ha attribuito
l’incarico di tessere le trame in Europa), non si mostra pessimista. «I punti di convergenza con Kaczyński e l’Ecr, oltre
che con Orbán, sono molti. All’indomani delle elezioni e fino al 1° luglio, data di insediamento del nuovo Parlamento europeo,
ci sarà modo di verificare la possibilità di un’intesa».
M55 e la carenza di alleati
Anche i Cinque Stelle navigano a vista. Il5 aprile sono stati resi noti i risultati delle europarlamentarie con cui sono stati
scelti i 76 candidati in lizza. Tutti confermati gli 11 europarlamentari attuali, a cui si aggiungono tra gli altri il sindaco
di Livorno Filippo Nogarin e l’ex Iena Dino Giarrusso. Di Maio, cui toccherà indicare i cinque capilista, ha attaccato Salvini
per l’asse con l’Afd: «Mi preoccupa questa deriva di ultradestra con forze politiche che addirittura, in alcuni casi, negano
l’Olocausto». Rincara il sottosegretario Stefano Buffagni: «Non possiamo accettare posizioni di gente come Orbán o la Le Pen».
Ma gli alleati languono. Per formare un gruppo servono 25 eurodeputati e rappresentanti di almeno sette Paesi. Finora Di Maio
ha stretto accordi soltanto con tre partiti, che stando ai sondaggi consentirebbero di arrivare alla soglia minima: i croati
di Zivi Zid, i greci di Akkel e i polacchi di Kukiz’ 15. Pare tramontata, invece, l’intesa con i finlandesi di Liike Nyt.
Per non parlare dei gilet gialli, con i quali i rapporti sono ormai interrotti.
Le manovre dopo le elezioni
Ma anche i Cinque Stelle confidano nel post-voto. In particolare sulle mosse di chi, tra i liberali di Alde, non vorrà rimanere
alleato di Macron, destinato ad assumere il timone del gruppo. L’obiettivo è raggiungere “quota 50” sperando di diventare
“ago della bilancia” del nuovo Governo europeo. E se Salvini avrà come denominatore comune con gli alleati la lotta all’immigrazione,
visto che sui temi economici i sovranisti del Nord sono molto severi con l’Italia, i pentastellati puntano a democrazia diretta,
tutela del “made in”, salario minimo europeo e green economy. Temi che però potrebbero diventare terreno di scontro in Italia.
I rapporti nel Governo restano infatti tesi. Salvini anche ha dato un ulteriore ultimatum: «Di rinvio e rinvio ci sono troppi
dossier rinviati».
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