WASHINGTON - Stagnazione o quasi, ma non recessione. È questo il futuro che il Fondo monetario internazionale vede per l’Italia nell’Outlook di aprile sull’economia globale, diffuso stamattina a Washington. Se l’Ocse si è spinta fino a stimare una contrazione del Pil per il 2019 (-0,2%), l’Fmi continua a vedere per l’Italia una crescita dello 0,1%, contro lo 0,6% calcolato a gennaio e l’1% di ottobre 2018.
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La debole Italia
Confermate le previsioni per il 2020, quando la crescita del Paese dovrebbe risalire allo 0,9%. Con la raccomandazione (valida
anche per Francia e Spagna) a ricostruire gradualmente margini di bilancio (fiscal buffers) per evitare di riaccendere la
spirale negativa tra banche e rischio sovrano e a decentralizzare la contrattazione salariale per riallineare i salari alla
produttività del lavoro. «Un periodo prolungato di alti rendimenti dei titoli pubblici – avvisa il Fondo - aumenterebbe lo
stress sulle banche, con conseguenze sull’attività economica e sulla dinamica del debito». Il Fondo ha anche peggiorato le sue previsioni s finanza pubblica per l’Italia: il deficit/Pil nell'anno in corso dovrebbe attestarsi al 2,7% e non più all'1,7% calcolato in autunno mentre il debito salirà
al 133,4% del Pil.
Per il Fondo, l’Italia, che sconta anche la debole domanda interna e il calo degli investimenti, è tra i fattori che stanno zavorrando l’Eurozona “oltre le attese”, insieme al calo della fiducia di consumatori e imprese, alle incertezze della Brexit e alla crisi dell’auto tedesca. Il capo economista del Fondo, Gita Gopinath, ha sottolineato che l’alto debito pesa sugli investimenti, ma ha preferito non esprimersi sull'ipotesi di flat tax: «Aspettiamo di avere tutti gli elementi». Più in generale, ha esortato a bilanciare le misure espansive con l'attenzione ai conti pubblici.
Frenata globale
Dopo il rallentamento della seconda metà del 2018, l’economia mondiale quest’anno crescerà del 3,3% (-0,2% rispetto alle stime
di gennaio), per tornare al 3,6% nel 2020. Un quadro peggiore delle attese, in parte a causa delle tensioni commerciali: i
dazi Usa contro la Cina, sottolinea il Fondo, si sono fatti sentire.
Le correzioni al ribasso rispetto alle stime di aprile riguardano tutti i principali Paesi e le aree geografiche. Marcato
il rallentamento Usa, dove si sta spegnendo la spinta delle misure fiscali volute dal presidente Donald Trump: il Pil rallenterà
dal 2,9% del 2018 al 2,3% nel 2019. La frenata si accentuerà nel 2020 (1,9%), quando si cominceranno a sentire invece gli
effetti negativi di parte di quelle stesse misure. Che, ribadisce il Fondo, alimenteranno il deficit delle partite correnti
Usa: «Questo potrebbe aggravare le tensioni commerciali».
L’Fmi torna invece a ribadire il contributo alla crescita derivante dal commercio e invita a smantellare le barriere erette e a preservare il sistema multilaterale della Wto.
Prosegue il rallentamento della Cina, che passa dal 6,6% del 2018 al 6,3% del 2019. In un contesto di frenata generalizzata, brilla ancora una volta l’India, che accelera dal 7,1% dell’anno scorso al 7,3% del 2019 e al 7,5% del 2020.
Eurozona: più integrazione
La crescita nell’Eurozona rallenterà dall’1,8% del 2018 all’1,3% quest’anno (lo 0,3% in meno rispetto alla stima di gennaio).
Nel primo semestre del 2019 si potrebbe assistere a una ripresa, con crescita all’1,5% per il 2020. Forte correzione per la
Germania, che crescerà dello 0,5% in meno del previsto e si fermerà allo 0,8%. Berlino, suggerisce il Fondo, dovrebbe usare
i margini di bilancio di cui dispone per aumentare gli investimenti pubblici oppure per ridurre il cuneo fiscale, misure che
aiuterebbero anche a riequilibrare il surplus commerciale. Si conferma, invece, il buon momento della Spagna, in crescita
del 2,1%.
Per reagire, il Fondo raccomanda maggiore integrazione: «Una risposta sincronizzata» in termini di politiche di bilancio,
avrebbe un impatto più forte su tutta l’area. Occorre poi, ribadisce l’Fmi, completare l’Unione bancaria e continuare la pulizia
dei bilanci del settore.
Dato che nell’Eurozona l’inflazione resta ben al di sotto del target e i salari crescono poco, la politica monetaria, suggerisce
il Fondo, «dovrebbe restare accomodante». Sono quindi «benvenute» le recenti mosse della Bce.
Nel caos della Brexit, il Regno Unito smarrisce lo 0,3% del Pil: nel 2019 la crescita si fermerà all’1,2%.
I rischi
Per l’Fmi, una rapida soluzione delle tensioni commerciali, con una tregua duratura tra Cina e Usa, potrebbe dare una spinta
alla crescita, ripristinando fiducia in imprese e investitori. Su questo scenario prevalgono però i rischi di un ulteriore
deterioramento della congiuntura: «Una escalation degli attriti sul commercio, con l’associato aumento dell’incertezza politica,
potrebbe indebolire la crescita ancora di più». C’è insomma il pericolo di un netto peggioramento delle aspettative dei mercati,
con la conseguente fuga dagli asset più rischiosi e ampliamento degli spread.
Ad innescare uno scenario del genere potrebbe essere anche una Brexit senza accordo, oppure una situazione di «prolungata
incertezza sui conti pubblici e di rendimenti elevati in Italia, soprattutto se associati con una recessione più profonda,
con possibile effetto contagio su altre economie dell’Eurozona».
Un altro fattore di rischio per l’economia globale potrebbe arrivare da un rapido cambio di valutazione dei mercati sulla
politica monetaria degli Stati Uniti. Come dire che se gli investitori si rendessero conto di aver puntato troppo sulla cautela
della Fed, potrebbero avviare una correzione dolorosa.
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