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quarta sponda

Libia, l’Italia rilancia il dialogo tra Tripoli e Bengasi. Governo diviso su gestione migranti

Milizie di Misurata alle porte di Tripoli (foto Ansa)
Milizie di Misurata alle porte di Tripoli (foto Ansa)

In queste ore è Roma il crocevia delle azioni politico-diplomatiche più intense per arrivare a un cessate il fuoco concordato che porti al ritiro delle truppe di Haftar dalla periferia di Tripoli e rimetta al tavolo del negoziato i rappresentanti del Governo guidato da Fayez Al Serraj e di Bengasi. Mentre il bilancio delle operazioni militari è ormai salito a 130 morti, 560 feriti e 16mila sfollati oggi a Roma il premier Giuseppe Conte incontrerà il vicepremier del Qatar Al Thani (che aveva già incontrato a Doha solo pochi giorni fa) e il vicepremier libico Maitig, esponente di Misurata. Si tratta di due figure di alto livello che in comune hanno la contrapposizione frontale verso Haftar e la politica aggressiva del suo esercito Lna.

Mentre Conte vede Al Thani Di Maio è a Dubai
Ma a testimoniare il fatto che l’Italia parla sia con Tripoli che con Bengasi il ministro dello Sviluppo economico e vicepremier, Luigi Di Maio, oggi è a Dubai per una missione di sistema che lo ha visto incontrare Sultan bin Saeed Al Mansouri, ministro dell’Economia degli Emirati. Della delegazione italiana fa parte anche Manlio di Stefano, sottosegretario agli esteri e Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria. Al centro dei colloqui i rapporti economici tra i due Paesi e le misure a favore delle start up innovative. Ma Di Maio e Di Stefano con le autorità emiratine hanno sollevato anche la questione libica sollecitando una presa di posizione chiara sulla crisi attuale che, pur riconoscendo la necessità di impegnarsi nella lotta al terrorismo, induca a più miti consigli il generale Haftar sempre molto sensibile ai rapporti (e al sostegno economico) con gli Emirati.

Slitta telefonata Conte-Trump
Dopo il colloquio telefonico di venerdì con la cancelliera Angela Merkel per mettere a punto una posizione europea sulla Libia, il premier Giuseppe Conte avrebbe dovuto mettere in calendario per oggi un contatto con il presidente americano, Donald Trump. Una parola di chiarezza da parte del presidente americano è infatti molto attesa soprattutto da carte del Governo di Tripoli riconosciuto dalla comunità internazionale. L’assenza degli americani dalle ultime vicende libiche (e il ritiro dei pochi militari Usa presenti sul terreno) avrebbe infatti autorizzato Haftar a intrepretare tutto ciò come un indiretto via libera alla presa di Tripoli. Solo una dichiarazione a favore del piano Onu e per un cessate il fuoco contestuale al ritiro di Haftar potrebbe porre fine all’equivoco. Contatti sono in corso con il consigliere per la sicurezza John Bolton e non è escluso che la telefonata con Trump prevista per oggi possa slittare ai prossimi giorni. Non è invece ancora confermata la telefonata di Conte al presidente russo Vladimir Putin (sostenitore delle ragioni di Bengasi) che la cancelliera Merkel avrebbe sollecitato a Conte proprio per tenere conto delle posizioni delle due superpotenze Usa e Federazione russa sulle vicende libiche.

Profughi e migranti: due linee diverse nel Governo
È attesa per oggi una nuova direttiva del Viminale che «ribadisce che i confini italiani si varcano solo se si hai diritto di farlo». Ma secondo il vicepremier Di Maio «chiudere un porto è una misura occasionale, risultata efficace quando abbiamo dovuto scuotere l’Ue, ma è pur sempre occasionale». Misura, inoltre, che «non funzionerebbe ora a fronte a un intensificarsi della crisi, quindi bisogna prepararsi in modo più strutturato, a livello europeo, nel rispetto del diritto internazionale». Di Maio ricorda che non ha senso «fare i duri» perché «se non si ponderano i toni il rischio è incrementare le tensioni. E, di fronte a un inasprimento sul terreno, la possibilità che possano riprendere gli sbarchi verso le nostre coste c’è e i primi ad essere colpiti saremmo noi».

GUARDA IL VIDEO - Gabinetto di crisi sulla Libia a Palazzo Chigi

Proprio per contenere le “fughe in avanti” di Salvini il premier Conte, spalleggiato dal ministro della Difesa, ha rafforzato i poteri del gabinetto di crisi sulla Libia imponendo maggiore collegialità nelle decisioni che riguardano il dossier libico. Secondo fonti internazionali e sulla base di valutazioni della nostra intelligence il conflitto in Libia avrebbe già prodotto circa 6mila sfollati, non destinati però tutti a partire verso le nostre coste. «In caso di una nuova guerra – ha precisato il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta - non avremmo migranti ma rifugiati. E i rifugiati si accolgono. Chi pensa al possibile attacco in Libia per risolvere il problema dei migranti sta facendo un errore enorme. Le conseguenze in termini di destabilizzazione ricadrebbero soprattutto sull’Italia».

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