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Investimenti e crescita non possono più attendere

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Servizio |i decreti bloccati

Investimenti e crescita non possono più attendere

Il decreto legge «sbloccacantieri» è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 20 marzo. Serviva per sbloccare l’Italia ma è rimasto bloccato 27 giorni fra spinte elettoralistiche e divergenti visioni politiche di Lega e M5s (soprattutto su poteri e numero dei commissari), verifiche tecniche su un tema esplosivo come il codice degli appalti, incerte coperture finanziarie, inserimento delle norme sulla ricostruzione post-terremoto.

I 27 giorni costituiscono un record negativo assoluto che irrita anche il Quirinale (si veda l’articolo a fianco).

Secondo indiscrezioni, confermate ieri dal vicepremier Luigi Di Maio, il decreto potrebbe approdare alla Gazzetta ufficiale entro un paio di giorni, ma ieri sera c’erano ancora un paio di punti aperti (o riaperti) da sistemare.

Nella stessa ragnatela sembra imprigionato il decreto legge «crescita», approvato dal Consiglio dei ministri il 5 aprile scorso. Elaborazione caotica con oltre cinquanta norme in entrata (poi sfoltite, in parte reintegrate, altre nuove inserite), ma al tempo stesso un segnale positivo di rilancio degli incentivi agli investimenti delle imprese. Scelta strategica in direzione giusta, come, d’altra parte, quella fatta con il provvedimento di rilancio dei cantieri. Anche il decreto crescita, però, difficilmente vedrà la luce prima di 7-10 giorni. Al caos originario, degno di un decreto omnibus, si è aggiunta l’appendice delle norme sui rimborsi ai risparmiatori truffati e quelle per Alitalia e debito di Roma.

L’articolo 77 della Costituzione richiede per i decreti legge i requisiti «straordinari di necessità e di urgenza». Questa norma viene sistematicamente violata da decenni. Da qualche tempo, però, la situazione è aggravata dall’approvazione dei decreti legge con la formula «salvo intese», prassi dietro cui i governi si nascondono per mediare, diluire, compensare, smussare le divergenze politiche degli azionisti di governo oltre ogni lecito tempo. Una prassi che contraddice alla radice il carattere di necessità e urgenza dei decreti legge.

Nel caso specifico, però, il problema non è solo di rispetto di una pur fondamentale forma giuridica.

La gravità di questa melina è invece sostanziale e va tutta a danno del Paese. I due decreti sono il cuore della strategia del governo di rilancio della crescita economica dopo la forte flessione che ha connotato la fine del 2018 e il passaggio al 2019. Così sono stati annunciati, come urgenti, prima ancora di essere approvati. Così sono collegati al Def. Urgente è la crescita.

Quei due decreti dovevano (e devono) essere il segnale forte all’Europa, all’economia reale, ai mercati, alle agenzie di rating (il 26 aprile tocca a Standard & Poor’s) che l’Italia vuole giocare sul serio la partita decisiva della crescita. E anche se l’impatto sul Pil nel 2019 è stimato prudentemente allo 0,1% (aggiuntivo dello 0,1% tendenziale), è un passo decisivo per ricreare un percorso di crescita, con effetti che dobbiamo credere siano via via crescenti nei mesi a seguire.

La variabile tempo è decisiva. Ora bisogna correre, non fra un mese. Anche per dare credibilità agli annunci e stabilità al quadro normativo. Battersi a parole per far ripartire subito gli investimenti e poi giocare un mese con le norme (dopo altri due mesi di gestazione precedente al Consiglio dei ministri) non aiuta a rafforzare la credibilità di cui il governo e l’Italia hanno bisogno. Se è davvero questo il terreno su cui si vuole giocare, crescita e investimenti, si dia subito il fischio di inizio senza indugiare oltre.

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