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Non solo «salva-Roma»: gli altri Comuni con la mina debito

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LE MISURE IN DISCUSSIONE

Non solo «salva-Roma»: gli altri Comuni con la mina debito

La partita è ufficialmente intitolata «salva-Roma». Ma a seguirla sugli spalti con attenzione ci sono Torino, Genova, Napoli e Reggio Calabria. E dietro a loro, con una tensione che progressivamente scende insieme alla febbre dei conti, arrivano Milano, Firenze e Messina. E Catania, dove però il dissesto è già arrivato prima di Natale e ora bisogna solo evitare guai peggiori.

Perché i casi Siri-Raggi scoppiati in contemporanea la scorsa settimana e le bordate sempre più intense lanciate dal leader leghista Salvini contro la norma sulla Capitale hanno intrecciato a doppio nodo la vicenda romana con il «salva-Comuni» in due mosse (Sole 24 Ore del 14 aprile) a cui si sta lavorando al ministero dell’Economia. Due mosse, va detto, che come il salva-Roma non avrebbero di fatto un costo diretto a carico dello Stato.

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Allungare i tempi dei rimborsi e rinegoziare i prestiti
La prima punta ad allungare i tempi per ripagare i debiti nei capoluoghi delle Città metropolitane. Il legame con Roma è dato solo dall’attualità politica, perché la bad company creata nel 2008 per ingabbiare i vecchi debiti ed evitare il default del Campidoglio è (fortunatamente) un unicum a livello non solo nazionale. Ma anche in altre città i debiti sono un problema. E al Mef si studia un’ipotesi di rinegoziazione dei mutui per abbassare il costo del debito, alimentato da interessi nati prima dell’era dei tassi piatti arrivati con la crisi finanziaria.

Il ruolo di Cdp e banche
Il cantiere è ancora all’opera anche perché da mettere d’accordo ci sono le controparti, rappresentate da Cassa depositi e prestiti e dalle banche (mentre la rinegoziazione dei vecchi mutui pre-2003 in capo al Mef è già stata avviata dalla manovra). I modelli sono due: la riscrittura dei prestiti permessa alle Regioni dal governo Renzi nel 2014, e gli aiuti su misura attivati per i Comuni terremotati. Le ipotesi, quindi, vanno da una revisione delle condizioni, che abbassando la rata annuale e allungando i tempi di ammortamento permetterebbe la neutralità finanziaria dell’operazione, fino a forme ancora più vantaggiose con lo stop di un anno per le rate come appunto avvenuto con i terremotati. Il precedente delle Regioni mostra che potrebbe essere necessario un piccolo aiuto iniziale del Tesoro, intorno ai 100 milioni.

Ma il problema principale è di far quadrare i conti dei Comuni interessati con quelli di Cassa depositi e delle banche che devono dare il via libera all’operazione. Problema che ovviamente cresce estendendo la rinegoziazione a tutti i Comuni come chiedono anche i sindaci.

I bilanci sotto i riflettori sono quelli dei Comuni capoluogo delle Città metropolitane, i cui amministratori sono appena stati convocati all’Economia dalla viceministra Laura Castelli. Nei bilanci di queste città ci sono poco più di 12 miliardi di debiti, ma la loro divisione, geografica e politica, è ineguale.

Spia rossa a Torino e Genova
Per capire chi è più interessato alla questione bisogna spulciare i consuntivi comunali alla ricerca dell’indicatore di «sostenibilità dei debiti finanziari». Perché a misurare il peso dei debiti non è il valore assoluto, ma il loro rapporto con le entrate. Più l’indicatore sale, più l’allarme cresce. La sirena allora suona prima di tutto nell’altra metropoli a Cinque Stelle, Torino, anche lei ricca di eredità costose: i 2,8 miliardi di debito fanno 3.181 euro a residente, e portano l’indicatore dei costi su su fino al 19% delle entrate da tributi, tariffe e trasferimenti. Seconda sul podio è Genova, oggi governata dal centro-destra dopo una lunga stagione a sinistra, e terza è Napoli a guida arancione. A Cagliari e Bari, dove i debiti sono bassi, si guarda alla vicenda con disinteresse; così come a Palermo (dove i problemi sono nella sostenibilità della cassa), Venezia e Bologna.

Appena dietro al terzetto di testa delle città indebitate arriva Reggio Calabria, a cui però è destinata la seconda mossa del «salva-Comuni».

La città, impegnata in un complicato piano di rientro-antidissesto, è incampata nella Corte dei conti. I magistrati contabili le hanno chiesto di ripianare in 10 anni i deficit extra nati dalla cancellazione di vecchie entrate, invece che nei 30 anni prima concessi da una norma bocciata dalla Consulta.

Per Reggio la novità imporrebbe di dedicare alla copertura del buco 11 milioni all’anno invece dei 2,5 previsti nel vecchio piano. E si tradurrebbe nel dissesto, come negli altri Comuni (più piccoli) nelle stesse condizioni. Per loro però la giostra delle scadenze potrebbe fermarsi sull’orizzonte intermedio dei 20 anni.

Al ministero dell’Economia si studia infatti una norma ponte per permettere a questi enti di agganciarsi al ripiano ventennale concesso dalla legge di bilancio 2017 ai nuovi piani di riequilibrio. Perché nel caos delle regole anti-dissesto la tradizionale complessità normativa italiana raggiunge uno dei suoi vertici, e oggi i ripiani sono in 10, 20 o 30 anni a seconda della data di presentazione del piano. La norma ponte proverebbe a fermare questa ruota della fortuna dei default; in attesa della riforma complessiva delle regole sulle crisi locali, attesa fra maggio e giugno. Sempre che si riesca a superare l’ostacolo del «salva-Roma».

Il quadro nelle città

Il debito a carico dei Comuni capoluogo nelle città metropolitane, la spesa annuale e la sua sostenibilità sui conti

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