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Sbloccacantieri, tredici provvedimenti da riscrivere: tutto fermo per sei mesi

Sei mesi per fare il nuovo regolamento appalti riscrivendo da zero 13 provvedimenti del vecchio codice, totale assenza di norme per semplificare la via crucis delle procedure e delle autorizzazioni che richiede otto anni per arrivare a una gara (di cui la metà per inerzia burocratica), tempi lunghi per nominare i commissari sblocca-cantieri con una maggioranza litigiosa sul numero, sui poteri e soprattutto sulla lista delle opere da accelerare, il rischio del caos normativo nel passaggio tra vecchio e nuovo codice con l’impatto su un mercato già stremato.

E soprattutto, sembrano smarrite le parole-chiave con cui il provvedimento era partito: urgenza, sblocco dei cantieri fermi, commissari subito, utilizzo dei 150 miliardi di risorse già stanziate e mai partite. Il quadro che si delinea è invece una situazione ferma a lungo, senza che il 2019 veda quel rilancio degli investimenti che anche questo governo – come quelli precedenti – ha promesso con il Def. Senza contare i dossier delle grandi opere accantonati – come la Tav – su cui un accordo è stato possibile solo a suon di rinvii.

Alla vigilia della settimana decisiva per il decreto sblocca-cantieri in Parlamento spetta anzitutto al governo capire quali ambizioni, quale perimetro e quali strumenti voglia dare al Dl per assolvere davvero alla sua finalità originaria e non rimanere, a sua volta, impantanato nelle procedure che fermano gli appalti da anni.

«Semplice correttivo, non sbloccacantieri», sarà la valutazione di molte imprese lunedì in Parlamento nel corso delle audizioni alle commissioni Lavori pubblici e Ambiente del Senato. Sfileranno 14 associazioni tra imprese, sindacati e amministrazioni pubbliche. Subito dopo, sempre che la situazione politica non precipiti, una riunione di maggioranza dovrebbe dare la linea per l’esame delle correzioni e integrazioni da portare in Parlamento. Martedì il termine per la presentazione degli emendamenti, poi una corsa per cercare di chiudere la prima lettura a Palazzo Madama entro il 17-18 maggio. Sarebbe quello, in sostanza, il testo definitivo del decreto, da portare poi “blindato” alla Camera dopo il voto europeo.

Poi bisognerà fare i conti con il mercato. Il primo rischio è legato alla necessità di scrivere da zero le regole attuative del codice, lasciando amministrazioni e imprese prive di bussola operativa.

Il decreto sblocca-cantieri assegna al Governo 180 giorni per varare il regolamento. Trattandosi di un Dpr, il provvedimento avrà un percorso di gestazione piuttosto articolato . Bisogna scrivere materialmente il regolamento, approvarlo in Consiglio dei ministri, raccogliere i pareri del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari e poi approvarlo in via definitiva con una nuova deliberazione del Governo. Anche senza considerare i precedenti (il regolamento sul codice del 2006 è stato varato nel 2010, quindi quattro anni dopo) l’obiettivo di arrivare al traguardo entro il 16 ottobre appare piuttosto difficile. Poco importa, verrebbe da dire, perché nel frattempo continueranno a rimanere in vigore i vecchi provvedimenti attuativi. Invece qui si apre la prima questione. Sia le linee guida Anac che i decreti ministeriali già varati fanno infatti riferimento a un quadro normativo che nel frattempo risulta stravolto dal tornado sblocca-cantieri. E dunque rischiano di diventare obsoleti e inservibili.

L’altro aspetto da considerare è se alla fine il nuovo regolamento sarà davvero l’unico faro a illuminare la strada che porta dalla gara all’opera come annunciato. C'è da dubitarne. Impossibile, infatti, non chiedersi che fine faranno tutti gli altri provvedimenti attuativi previsti dal codice e non presi in considerazione dal decreto sblocca-cantieri. A contarli uno per uno si scopre che il nuovo regolamento assorbirà (o cancellerà) soltanto 13 dei 62 provvedimenti attuativi del codice, lasciando in piedi molti altri provvedimenti già varati e diversi altri che probabilmente non vedranno mai la luce. Il rischio caos è dietro l’angolo e, senza un buon paracadute, c’è il pericolo di vanificare ogni ambizione di semplificare la giungla normativa degli appalti.

Qualche beneficio immediato arriverà per le piccole e piccolissime gare, dove lo sforzo di semplificazione del governo (solo tre preventivi sotto i 200mila euro, gare formali ma con criteri di aggiudicazione più semplici fino a 5,5 milioni, in aggiunta al ritorno dell’appalto integrato) dovrebbe dare una scossa, riducendo i termpi di aggiudicazione. Ma si tratta pur sempre di gare da bandire non di cantieri messi (o rimessi) subito in produzione. Anche il sistema di incentivi normativi (e fiscali nel Dl Crescita) per innescare operazioni di rigenerazione urbana tramite demolizione e ricostruzione di interi edifici non convince gli operatori, che giudicano troppo deboli entrambi i bonus.

Sul fronte investimenti la vera partita si gioca sul tavolo dei commissari. Ieri il ministro delle Infrastrutture Toninelli ha annunciato l’arrivo di un primo emendamento per dare a un commissario il compito di mettere in campo i progetti di messa in sicurezza idrica del Gran Sasso. La via dell’emendamento per accelerare singole opere o piani è molto rischiosa: può scatenare una corsa a inzeppare il decreto di norme ad hoc anziché fare un accordo, presto e bene, sulle opere e sui piani da sbloccare con un decreto di Palazzo Chigi. Senza questo passaggio-chiave che avvii veramente la stagione dei commissari l’ambizione di riavviare in tempi rapidi la spesa resterà tale. Senza contare, poi, il rischio boomerang di una nuova frenata dei bandi a causa della necessità delle stazioni appaltanti di adeguare documenti e procedure alla raffica di novità in arrivo.

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