È ufficiale: il Consiglio dei ministri sul caso Siri è convocato per le ore 10 di mercoledì. Nell'attesa, le dimissioni del sottosegretario leghista ai Trasporti accusato di corruzione dai magistrati capitolini mettono sempre più a rischio i rapporti tra M5S e Lega. Anche perchè la questione si è andata complicando nelle ultime ore: dopo le rivelazioni di "Report" sull'acquisto da parte di Siri di una palazzina a Bresso (vicino Milano), con 585mila euro finanziati con un mutuo di una banca di San Marino la Procura di Milano ha aperto un'inchiesta, al momento senza ipotesi di reato né indagati. A far scattare le indagini, una informativa della Guardia di Finanza, messa sull'avviso dal fatto che la compravendita fosse stata segnalata dal notaio all'ufficio competente di Bankitalia come operazione sospetta di riciclaggio.
«Posso solo ribadire che l'acquisto dell'immobile è stato perfezionato nella
totale trasparenza e nel pieno rispetto delle regole», mette in chiaro Marco Perini, capo della segreteria del sottosegretario
leghista, difendendo la regolarità della compravendita finita sotto i riflettori. Perini, che è figlio dell'intermediario immobiliare attraverso la cui agenzia è stato realizzato l'acquisto della palazzina,
sottolinea: «Mio padre ha agito in qualità di mediatore immobiliare con agenzia operante in Bresso e il sottoscritto ha acquistato
una piccola porzione dell'unità immobiliare come investimento personale. Ogni documentazione attestante quanto sopra dichiarato
sarà resa disponibile,
qualora richiesta, alle autorità competenti».
La tensione, nella maggioranza, è dunque alle stelle, mentre cresce il pressing pentastellato sulla Lega. «La cosa più importante ora è rimuovere questo sottosegretario che getta ombre sull'intero Governo, spero non si arrivi al Consiglio dei ministri, lì noi abbiamo la maggioranza assoluta, ma spero che la Lega non sia così irresponsabile», ammonisce il vicepremier Luigi Di Maio intervistato dal Gr 1 Rai, pur escludendo una crisi di governo. Con la Lega, assicura, «non abbiamo mai parlato né di rimpasti né di crisi, per noi bisogna andare avanti per cambiare questo Paese».
L'accelerazione di Conte
Il premier Giuseppe Conte, da parte sua, che ha preso un impegno pubblico per la revoca del sottosegretario leghista indagato per corruzione, sperava che l'accelerazione avrebbe determinato un passo indietro dello stesso esponente di governo. Ma così non è stato. Almeno fino ad ora. Dunque, quale scenario si apre se lo stallo si trascina fino a mercoledì?
L’iter di revoca
Secondo quanto annunciato la scorsa settimana, dovrebbe entrare in campo Conte avviando l’iter di revoca.La revoca dell’incarico a un sottosegretario segue una procedura analoga a quella della sua nomina, stabilita dalla legge sull’attività del governo, la 400 del 1988. All’articolo 10 si prevede che «i sottosegretari di Stato sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta
del presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro che il sottosegretario è chiamato a coadiuvare, sentito
il Consiglio dei Ministri». Conte dunque «sentito il Consiglio dei ministri» (dicitura che fa ipotizzare come un eventuale
voto non sia determinante) porterà la sua decisione al Presidente della Repubblica, che la renderà effettiva attraverso un
proprio decreto.
Conta non necessaria
Formalmente, dunque, il premier deve accordarsi con il ministro competente (in questo caso Danilo Toninelli) e “sentire” il Consiglio dei ministri prima di portare il decreto di revoca al presidente della Repubblica per la firma. Il voto può esserci ma non è previsto. La grammatica istituzionale prevede il consenso del Consiglio ma non lo ritiene indispensabile.
Perciò, dinanzi ad un dissenso del fronte leghista, il premier potrebbe tirare dritto.
M5s batte Lega 8 a 6
In ogni caso, se si dovesse procedere a un voto, il Movimento avrebbe la maggioranza con 8 voti su sei. I voti in favore della
revoca di Siri sarebbero quelli di Di Maio, Fraccaro, Trenta, Bonafede, Grillo, Lezzi, Costa e Toninelli. I voti contrari sarebbero invece quelli di Salvini, Centinaio, Fontana, Bongiorno, Stefani e Bussetti.
Tria e Moavero ago della bilancia
Ma questi numeri potrebbero non tornare se i due tecnici «indipendenti» Tria e Moavero decidessero di votare contro la revoca.
Il ministro dell’Economia già la scorse settimana, in un’intervista al Fatto quotidiano, ha fatto sapere di non essere favorevole
a dimissioni solo dinanzi a un’indagine. Moavero invece non si è espresso né in un senso né nell’altro. Se questi due ministri
fossero per il no, si arriverebbe a una situazione di totale parità tra i due schieramenti pro e contro-Siri. A questo punto diventerebbe dirimente la posizione del presidente del consiglio. Favorevole alla revoca.
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