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Le città del Giro d’Italia: ritorno all’Aquila 10 anni…

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Le città del Giro d’Italia: ritorno all’Aquila 10 anni dopo il terremoto

“Arriva il Giro ! Arriva il Giro!” Una volta, negli anni Sessanta, quando in Abruzzo e all’Aquila arrivava la carovana rosa , era una gran festa. Tutte le attività si fermavano. Gli operai in tuta uscivano dalle fabbriche, i contadini si vestivano come alla domenica. Le scolaresche salutavano i corridori con le bandierine. E i vecchi su una sedia di paglia aspettavano. Aspettavano il Giro e una vita migliore per i loro figli. Come adesso.

Erano i tempi di Vito Taccone, il Camoscio d'Abruzzo che con i suoi attacchi, e le sue vittorie infiammava il popolo abruzzese. «L'uomo è un lupo», diceva Taccone davanti alle telecamere del Processo alla Tappa di Sergio Zavoli. «Io sono un povero che rappresento tutti voi, poveri come me, ma onesti».

Eccoci qua, nel 2019, quasi 60 anni dopo. Questo venerdì, partendo da Vasto, il Giro torna nel capoluogo abruzzese. E ci torna dieci anni dopo il terremoto. Quel maledetto terremoto del 6 aprile che portò morte e distruzione (309 vittime, 1600 feriti e 80mila sfollati). Un devastante tuono nel buio che esplode alle 3.32 del mattino, quando tutti dormono.

«Mi stava cascando il soffitto sulla testa. Mi salvò mio figlio trascinandomi fuori di casa. Ero in pigiama e mi vergognavo…», racconta la signora Luisa. Adesso ha 80 anni, un grande orgoglio e velo di malinconia. È una delle 6300 persone che ancora abita nelle casette d'emergenza. «Non so se tornerò a casa mia, ma non dobbiamo perdere la speranza».

Arriva il Giro, arriva il Giro. Anche questa volta, nonostante tutto, sarà una festa. Ma che situazione trova la carovana? «Trova una città su due ruote», dice Celso Cioni, per 25 anni direttore di Confcommercio. «Con una ruota, quella della ricostruzione privata, che ha camminato molto. E con un'altra, quella della ricostruzione pubblica, che invece è andata molto piano. Questa ruota, però, è fondamentale per il commercio. C'erano circa 1000 imprese dentro le mura, oggi ne contiamo solo 100. Quasi tutte fuori dal centro, dove hanno ripreso un certo volume di affari. Quindi lo sforzo è quello di riportare altre attività nel cuore della città. Ma senza attrattori pubblici è dura. Prima, dal centro transitavano ogni giorno 30mila persone. Ma chi ci viene, adesso, se mancano le scuole, gli uffici postali, il Comune, la Camera di commercio? I lavori pubblici , comprese le scuole, sono bloccati per i soliti ricorsi e per la solita burocrazia. Eppure adesso il centro è stupendo. Un gioiello. Tutti i vecchi palazzi sono stati tirati a lucido. Ma chi viene a vederli?»

Aiutati che Dio ti aiuta, dice il proverbio. Ma anche Dio, davanti alla burocrazia italiana, non fa più miracoli. Sui commercianti pesa infatti la minaccia della restituzione delle tasse sospese, considerate aiuto di Stato da Bruxelles. «Presto si saprà», avverte Ezio Rainaldi di Confindustria. «Nel 2011 la legge Letta ci ha permesso di avere sgravi di oltre il 60 %. Ma purtroppo è stata gestita malissimo».

Chi può si consorzia, tenta di ripartire, di dare una scossa. «Sì, ci proviamo», dice ancora Cioni. «Con alcuni amici del centro storico ci stiamo organizzando per riaprire i negozi nei giorni festivi. Così i turisti vengono e scoprono questa città meravigliosa. Vogliamo far diventare l'Aquila un centro commerciale naturale all’aperto».

È un mondo diviso in due: quello che ogni giorno convive con il dolore. E quello di chi vuole comunque ripartire, trovare la forza per rinascere. Magari non come prima, ma con un nuovo progetto per il futuro.
Lo dice anche Paola Inverardi, rettrice dell'Università dell'Aquila. Che con un messaggio di forte speranza, lancia anche una provocazione: «Non si può sempre parlare del passato. Bisogna andare avanti. Oggi c'è una energia enorme che non si coglie nelle celebrazioni. I giovani per esempio sono impegnati a costruire una città migliore, anche di quella precedente. Gli studenti di ingegneria hanno proposto soluzioni e progetti fantastici. Chi ha vissuto questa esperienza, ne esce fortificato. Certo, ci sono stati dei lutti, che nessuno potrà cancellare. Ma cresce anche la speranza. Sarà che io vivo con gli studenti, ma qui la conoscenza è un elemento fondamentale: noi abbiamo re-imparato a convivere col terremoto. Questi ragazzi sanno che, in futuro, le cose dovranno essere diverse. E loro saranno i protagonisti di questo processo di trasformazione».

Il futuro accende la fantasia, ma non le strade dell'Aquila. Quando cala il sole qui viene buio, ma buio davvero. Manca l’illuminazione pubblica. E solo i fari dei cantieri fanno luce ai rari passanti che si arrangiano con le torce. Se si esce dal centro, le ferite del terremoto sono ancora evidenti. Molte case sono disabitate. Con tanti annunci immobiliari cui nessuno risponde.

«Abbiamo perso il senso della normalità», commenta il nuovo vicesindaco Raffaele Daniele. «Per questo ci fa piacere che arrivi il Giro. Ci riporta alla normalità, a un senso di comunità che si ritrova. È come quando riapre un negozio: è una festa per tutti. Vuoi dire che la vita riprende, che che la ruota della vita ricomincia a girare».

A proposito di futuro, il vicesindaco aggiunge: «È giusto guardare avanti. Però senza cancellare il passato. Ma Il vero problema è la ricostruzione immateriale, quella delle nostre anime ferite. Quelle di chi ha perso tutto, lavoro compreso, e non hanno mollato. Il nostro dovere è di dar loro qualcosa in cui credere».
Se avesse una bacchetta magica, che cosa farebbe subito per l'Aquila?
«Darei lavoro. È fondamentale. Qui prima c'era una vocazione industriale. Ma dopo il terremoto molte grandi aziende sono andate via. C'è una situazione economica di forte sofferenza. Prima c'erano 26mila studenti e quindi molte famiglie avevano anche la possibilità di affittare appartamenti ai ragazzi. Ora non ci sono le case, e ci sono meno studenti. Dobbiamo concentrarci su questi problemi. E investire molto sul turismo. L'Aquila è al centro del Paese, e non è mai stata così bella».

Non c'è polemica, non c'è risentimento. Ma qualcosa che non va, viene fuori.
«Che cosa fa il governo? Poco, ormai non siamo più una emergenza. Hanno altro cui pensare… Ma è normale così. Lo sappiamo, e dobbiamo uscirne fuori da soli».
Guardando alle cose da fare, bisogna aver uno sguardo lungo. Ma all'Aquila non è facile usare termini come “Smart city” o “economia sostenibile”. Sembra di ordinare caviale in una trattoria di campagna. Eppure a un certo tipo di ricostruzione bisogna pensarci adesso, dopo sarà troppo tardi, spiega Alessandro Tursi, presidente della Fiab, la Federazione italiana della Bicicletta. «L'Aquila non brillava prima, ma è nettamente peggiorata con il terremoto», sottolinea Tursi. «La creazione di queste new town, pur confortevoli rispetto al passato, ha sparpagliato la popolazione per decine di chilometri provocando un fenomeno di massiccio pendolarismo tutto basato sull'uso dell'auto. Ora la situazione è migliorata, però nell'individuare l'Aquila come una smart city, con nuove tecnologie e nuovi sistemi antisismici, si è pensato poco alla mobilità, che invece è un aspetto fondamentale per la qualità della vita e anche per la sostenibilità economica di una città».

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