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dopo le elezioni europee

L’Europa batta un colpo, ma nessuna scorciatoia alla riduzione del debito

Molto dipenderà dalla scelta dei personaggi chiave, a partire dal prossimo presidente della Commissione europea. Tuttavia fin d'ora si può immaginare che con un Parlamento in cui la maggioranza sarà formata dalle due tradizionali famiglie europee (popolari e socialisti) con l'aggiunta dei liberali (anche i verdi potrebbero farne parte) ben difficilmente si aprirà una stagione all'insegna dello sfondamento dei parametri di bilancio.

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Per la verità, l'aspettativa espressa chiaramente in campagna elettorale da Matteo Salvini era che l'auspicata avanzata delle formazioni sovraniste avrebbe condotto in tempi brevi al ribaltamento dell'attuale disciplina di bilancio. Per la verità, è parso chiaro fin dall'inizio che sono proprio i paesi a guida sovranista (a partire dall'Ungheria di Orban) a non offrire sponde sui due temi più cari alla Lega: la gestione dei migranti e i conti pubblici. Ancor meno, sul versante del rispetto delle regole di bilancio, lo sono i paesi tradizionalmente rigoristi del Nord Europa. Nessuno sconto “a prescindere”, dunque, per il Governo che si appresta da qui a ottobre a mettere a punto una manovra che già oscilla tra i 32 e i 35 miliardi.

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La tentazione di forzare sul deficit c'è e ci sarà. Ed è probabile che qualche margine vi sia per spuntare alcuni decimali in più. Ma prima di tutto il governo dovrà ribattere nero su bianco ai rilievi che la Commissione europea si accinge a rivolgere al nostro paese sul fronte del debito. La drastica frenata dell'economia che quest'anno vedrà il Pil attestarsi attorno a una crescita di poco superiore allo zero (era l'1,5% nella previsione dello scorso settembre e l'1% in quella di fine anno) non potrà che comportare effetti sul “numeratore”, vale a dire sul debito.

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Non a caso Bruxelles prevede che si passi dal 132,2% del 2018 al 133,7% quest'anno e al 135,2% nel 2020. Una chiara violazione della regola del debito, che richiederebbe di ridurlo per un ventesimo l'anno fino al raggiungimento della fatidica soglia del 60% del Pil. Il problema è che l'Italia non rispetta nemmeno l'impegno a ridurre il deficit strutturale, calcolato al netto delle una tantum e delle variazioni del ciclo economico. Secondo Bruxelles il saldo strutturale di bilancio resterebbe negativo per il 2,3% quest'anno e del 3,4% il prossimo.

Un'applicazione rigorosa del set di regole europee che sovraintendono ai conti pubblici spingerebbe direttamente verso l'apertura di una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo causato dal mancato rispetto della regola del debito. É improbabile che ciò avvenga in tempi brevi. Per ora ci si limiterà al rituale scambio di missive tra i responsabili economici della Commissione e il ministro dell'Economia, Giovanni Tria. Con le raccomandazioni attese per i primi di giugno (poi sottoposte all'approvazione dei ministri dell'Ecofin) si chiederà al Governo di fornire elementi aggiuntivi in vista della prossima manovra di bilancio, quanto meno un impegno a ridurre il deficit strutturale dello 0,3% del Pil (poco meno di 5 miliardi). Poi il confronto vero vi sarà tra ottobre e novembre quando la legge di Bilancio sarà all'esame del Parlamento.

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L'interesse evidente del Governo (ammesso che l'attuale assetto politico regga alla prova del voto europeo) è di avviare una trattativa con la vecchia e la nuova Commissione che si insedierà a novembre per provare a spuntare qualche margine di flessibilità che serva ad rendere meno onerosa l'individuazione di risorse utili a evitare che dal 2020 scatti l'aumento di tre punti delle aliquote Iva (le ormai famose clausole di salvaguardia). Per farlo il Governo avrà bisogno di alleati, di sponde politiche tra i governi. E gli interlocutori primari non potranno che essere Germania e Francia. Possibile che vi sia qualche apertura, a fronte di impegni precisi che il Governo dovrà assumere per ridurre il debito.

E certamente la nuova Commissione europea dovrà tener conto che in Italia, la terza economia del Continente, una formazione politica apertamente sovranista ed euroscettica ha ottenuto quasi il 35% dei consensi. Ma anche dell'avanzata di Marine Le Pen in Francia. Il vero tema allora non è tanto se e quale “sconto” si accorderà all'Italia, quanto la direzione di marcia che l'Europa del dopo voto deciderà di imboccare. L'immobilismo e l'incapacità di decidere su dossier fondamentali, quali il fenomeno delle migrazioni e il sostegno all'occupazione e alla crescita, è all'origine dell'affermarsi di formazioni sovraniste e populiste.

Quindi per una volta occorrerà rovesciare i termini della questione: è l'Europa che deve battere un colpo, ad esempio decidendo in tempi rapidi il completamento dell'unione bancaria attraverso l'introduzione di un'assicurazione europea sui depositi. Ma anche una sorta di assicurazione europea contro la disoccupazione andrebbe in questa direzione. Al tempo stesso paesi ad alto debito come l'Italia non possono e non devono immaginarsi scorciatoie rispetto all'impegno prioritario a ridurlo attraverso azioni congiunte di sostegno alla crescita e di contenimento della spesa pubblica.

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