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Report Gdf: tutti i tipi di rischio delle criptovalute

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il convegno di Verona

Report Gdf: tutti i tipi di rischio delle criptovalute

Ci sono almeno «quattro tipi di rischi» per le criptovalute. «Finanziari, monetari, criminali e di contrasto». Esempi continui, ma neanche troppo evidenti: le tecniche sono sofisticate, subdole, proteiformi. La Guardia di Finanza così ha presentato alcuni giorni fa a Verona un'analisi approfondita sull'illecito utilizzo delle criptovalute a partire dal riciclaggio. Un allarme confermato dalle autorità giudiziarie. Rinnovato tre giorni fa con una comunicazione dall'Uif, unità di informazione finanziaria per l'Italia della Banca d'Italia. Come al solito, la tecnologia non è neutra. Ma può essere anche benefica: le criptovalute diventano occasione per molti di sviluppo e investimento. A determinate condizioni e garanzie.

L'analisi delle Fiamme Gialle
A palazzo della Gran Guardia, nella città scaligera, il seminario di studi coordinato dal comandante provinciale Gdf Carlo Ragusa racconta un mondo conosciuto ancora poco, con un caleidoscopio dalla miriade di sfaccettature. Pietro Bianchi, capo ufficio analisi del Comando generale delle Fiamme Gialle ora guidato dal generale Giuseppe Zafarana, descrive i quattro tipi di rischi. Ognuno con le sue implicazioni: il contrasto alle criptovalute illecite, per esempio, fa i conti con «l’anonimato, la localizzazione, la registrazione e la ricostruzione» di processi sfuggenti o quasi inaccessibili.

Mentre il rischio criminale si declina nell’uso di questa nuova moneta per finanziare «frodi, mercato nero, riciclaggio, terrorismo». Possibili anche bolle speculative. E non possiamo certo combattere da soli: «L'assessment ai rischi deve essere di carattere sovranazionale» evidenzia l'analisi della Finanza. Sottolinea Bruno Buratti, comandante Interregionale Nord Est: «Consapevoli delle insidie, oltre che delle opportunità, dei criptoasset, abbiamo il dovere di elaborare una diagnostica in chiave predittiva per la tutela del sistema Paese a livello strategico».

La crittografia garanzia di sicurezza
Al convegno di Verona ci sono i vertici territoriali di Confindustria e degli ordini degli avvocati, notai, commercialisti. E la massima autorità in Italia della crittografia: Massimiliano Sala, ordinario di matematica a Trento e direttore dell'associazione De Componendis Cifris, un club di appassionati del settore che annovera già 700 iscritti tra docenti, ricercatori ed esperti pubblici e privati.

Sala ricorda come le criptovalute «potrebbero essere un sistema per l’accesso ai finanziamenti di chi non avrebbe nessun altra strada possibile». Ma ci sono due strade alternative: una criptovaluta creata in proprio e transazioni affidate a un server. «Con il rischio di amministratori del server disonesti, utenti che approfittano di errori di autenticazione, attacchi cyber che svuotano il server». Al contrario, afferma Sala, affidarsi a una blockchain (struttura digitale di dati condivisa) «garantisce, grazie alla crittografia, l'identità digitale di chi scrive e l'impossibilità di alterare i contenuti».

I timori della magistratura
«Siamo abituati a un sistema centralizzato mentre la criptomoneta è decentralizzata: esiste nella rete e non ha alcun controllo da parte dei governi e delle banche» avverte Antonella Magaraggia, presidente del tribunale di Verona. C'è poi da fare i conti con «l’anonimato visto che la criptomoneta consiste in un insieme di caratteri e non è legata ad alcun dato personale del proprietario». Di conseguenza sussiste «un potenziale utilizzo per finalità illecite e le criptovalute, rispetto alle valute ordinarie, sono meno suscettibili di confische da parte delle forze dell’ordine».

Un sistema, conclude Magaraggia, che «mal si presta a una regolamentazione». Eugenio Fusco, procuratore aggiunto a Milano, amplia la prospettiva: «Gli illeciti informatici crescono a dismisura, le denunce presentate alla Polizia Postale nel 2018 sono aumentate del 318% rispetto all'anno prima. Sicurezza e tutela dei dati non sempre vanno a braccetto: le aziende italiane – ricorda Fusco - investono poco in sicurezza digitale (1,5% del fatturato) e spesso comprano sistemi a buon mercato ma, proprio per questo, poco sicuri».

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