Se siete la prima donna italiana a vincere una medaglia d'oro alle Olimpiadi invernali avete tutto il diritto di riposare e godervi un risultato che vi fa entrare, per sempre, nella storia. Soprattutto se, dopo la vittoria, siete costrette a un'operazione al piede destro che vi toglie all'improvviso la possibilità di essere al livello delle più forti, nonostante a ogni gara cerchiate di andare oltre il vostro limite. Soprattutto se, mentre voi siete obbligate a un lungo calvario, la vostra rivale diretta inizia a collezionare medaglie d'oro olimpiche, quelle che pensavate a buon diritto potessero essere appese al vostro, di collo.
Se siete Stefania Belmondo tutto questo non vale: niente riposo dopo l'ingresso nella leggenda con la vittoria nella 30 chilometri di Albertville, nel 1992; niente rinuncia dopo l'intervento chirurgico e quattro anni di risultati ampiamente sotto le attese; niente scoramento nel vedere la rivale e compagna di Nazionale, Manuela Di Centa, portarsi a casa due ori, due argenti e un bronzo, in un solo colpo, alle Olimpiadi di Lillehammer. Troppo, per poter ritenere soddisfacenti un paio di bronzi rimediati con fatiche immani.
Eppure Stefania Belmondo non molla: lo scricciolo, come tutti la chiamano visto il suo metro e 58 centimetri di altezza, non ascolta il consiglio dei medici, che la invitano a chiudere la carriera. È testarda, lo è sempre stata, e proprio quella testa dura le ha dato la forza di volontà per battere avversarie che, dal punto di vista fisico e atletico, la sovrastano.
Stefania Belmondo continua, arriva ai Mondiali di Trondheim, in Norvegia: è il 1997. La dominatrice è la russa Vialbe, ma subito dietro questa volta c'è lei. Quattro argenti che urlano al mondo "sono tornata".
Di nuovo le Olimpiadi,a Nagano, l'anno successivo: altre due medaglie, bronzo con la staffetta e argento nella 30 chilometri, ma ancora una volta l'oro che sfugge, a rendere impossibile l'accoppiata con quello vinto ad Albertville. E allora di nuovo allenamenti e gare, migliaia di chilometri macinati con quel passo frenetico capace di contrastare le lunghe falcate delle russe e delle atlete del Nord Europa. E di nuovo i Mondiali in Austria, nel 1999, con due ori e un argento, ma con il sogno olimpico sempre in testa.
Quando finamente arrivano le Olimpiadi di Salt Lake City, nel 2002, Stefania Belmondo è reduce da due stagioni non esaltanti. Più che un sogno l'oro sembra davvero un miraggio. Tutti pensano a un addio dignitoso, all'ultima passerella di una campionessa che ha dato il meglio e che deve inchinarsi alle avversarie e al tempo che passa. Invece nella 15 chilometri a tecnica libera Stefania Belmondo stacca tutte, il suo passo è irresistibile, il piccolo scricciolo è imprendibile: arriva l'oro, il più bello, a dieci anni dal primo. Accompagnato da un argento nella "sua" 30 chilometri e da un bronzo con la staffetta.
A questo punto, e solo a questo punto, Stefania Belmondo decide di ritirarsi: nonostante i quattro anni di sofferenza dopo l'intervento al piede, che tanto le hanno tolto come vittorie, è insieme alla russa Smetanina la donna che ha vinto più medaglie olimpiche. Dieci. Da mettere in bacheca insieme a 13 medaglie mondiali, 24 vittorie in Coppa del Mondo e 35 titoli italiani. Scoprirà, proprio dopo quelle Olimpiadi, che le sue avversarie Muehlegg, Lazutina e Danilova avevano il motore truccato dal doping. Stefania aveva battuto anche quello.
Oggi fa la mamma a tempo pieno: le sue medaglie d'oro si chiamano Mathias e Lorenzo.
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