XVII Giochi olimpici invernali di Lillehammer, Norvegia, 1994. Il commissario tecnico della Nazionale italiana di sci di fondo, Sandro Vanoi, deve essere impazzito. Non c'è altra spiegazione alla scelta di schierare Maurilio De Zolt nella staffetta 4 x 10 chilometri. Qualsiasi formazione avesse messo in campo, senza De Zolt, tempi alla mano avrebbe garantito una facile medaglia di bronzo. Tanto contro i norvegesi padroni di casa, e contro i finlandesi, non c'era niente da fare, meglio accontentarsi. Con De Zolt, invece, addio anche a quello.
Non che il vecchio Maurilio fosse scarso, tutt'altro: un campione di quelli veri, ma ormai vecchio. Quarantaquattro anni e, soprattutto, uno specialista delle lunghe distanze. Il suo massimo lo dava nella 50 chilometri, che ti prosciugava lentamente le energie. In dieci chilometri secchi, dove bisognava sparare tutto e subito, i cigni del Nord avrebbero fatto un solo boccone del "grillo", come lo chiamavano tutti per via della statura che a stento sfiorava il metro e 70.
Con gli altri un bronzo sicuro, con De Zolt invece…
Con De Zolt invece succede quello che ogni tanto, nello sport, trasforma le gare in leggenda, facendole entrare nella cerchia ristretta di quelle che si ricorderanno per sempre.
Perché De Zolt parte in prima frazione e mentre tutti si aspettano distacchi da misurare con la sveglia lui resta lì, appiccicato a Sivertsen e Myllilae. Un chilometro, due, tre, e i cigni del Nord che le provano tutte per farlo fuori, per far capire a Sandro Vanoi che la scelta di schierare De Zolt era un reato di lesa maestà nei loro confronti. Passo dopo passo, spinta dopo spinta, curva dopo curva, sempre più veloci con le loro lunghe ed eleganti falcati mentre quel piccolo e tignoso italiano sembra un frullatore, tanto è costretto a mulinare braccia e gambe per tenere il ritmo.
Una discesa, una curva e finalmente De Zolt si stacca: è l'inizio della fine, è il ritorno alla normalità delle cose. L'addio a una medaglia di bronzo che, senza De Zolt, sarebbe stata certa.
Eppure, da quella curva, esce il solito De Zolt: resta lì, a mulinare gambe e braccia come un forsennato perché lui, quei due lì davanti, ha deciso di non lasciarli andar via, cadesse il mondo. Resiste, resiste. Loro attaccano, e lui resiste. Loro spingono, e lui non molla. Fino al cambio dei dieci chilometri, per passare il testimone a Marco Albarello che nel passo alternato non ha rivali. Dieci secondi, dieci miseri secondi sono il massimo che Sivertsen e Myllilae sono riusciti a rifilare a De Zolt. Un nulla, altro che distacchi da misurare con la sveglia. Un nulla che Albarello recupera contro mostri sacri come Ulvang e Kirvesniemi.
Giorgio Vanzetta, il terzo frazionista, se la vede con Alsgaard e Rasanen. Quando passa il testimone a Silvio Fauner, l'ultimo frazionista, l'Italia è ancora in corsa per la medaglia più preziosa. Fauner aveva un idolo, quando si è messo gli sci a piedi: Maurilio De Zolt. Quel Maurilio De Zolt che adesso, da compagno di staffetta, gli ha dato la possibilità di giocarsela contro i signori dello sci di fondo, in casa loro. Come mollare, con una simile motivazione?
E Fauner non molla, resta attaccato a Bjorn Daehlie, il più forte di sempre. A staccarsi è Jari Isometsta, il finlandese, che su una salita non è riuscito a tenere il passo. Fauner e Daehlie, Daehlie e Fauner, fino alla fine, fino all'ultimo metro, fino all'ultima goccia di sudore, fino all'ultima boccata di ossigeno. Fino Allo sprint. Fino al trionfo. L'Italia batte la Norvegia in casa sua, la più grande sorpresa nella storia della staffetta.
Ad abbracciare Fauner, con Vanzetta e Albarello, c'è Maurilio De Zolt: come tutti avevano previsto, il "grillo" ci ha fatto perdere un bronzo sicuro. E ci ha fatti entrare nella leggenda.
P.S. Con la medaglio d'oro conquistata a quasi 44 anni Maurilio De Zolt è il più vecchio campione olimpico di questa disciplina. Arrivato in Nazionale a 27 anni, è ormai 35enne quando vince le prime medaglie mondiali: bronzo nella 15 chilometri, argento nella 50 chilometri e nella staffetta. La gara più lunga è anche la sua preferita. Nella 50 chilometri vince il titolo mondiale nel 1987, a Oberstdorf, e ottiene la prima medaglia olimpica a Calgary, nel 1988, alle spalle di una leggenda dello sci nordico: Gunde Svan, detto "il cigno".
Chiuderà la carriera con tre medaglie olimpiche e sei mondiali. La sua impresa più bella resta l'ultima: quella miracolosa frazione a staffetta che tolse un bronzo all'Italia per colorarla d'oro.
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