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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2011 alle ore 10:31.

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Cloud computing nelle aziende italiane? «Dalle nostre analisi sta cominciando a prendere piede, tra aziende di varie dimensioni», spiega Fabio Rizzotto, analista di Idc, che ha di recente studiato gli sviluppi del mercato in Italia. Il 25 per cento delle aziende italiane intende adottare il cloud nei prossimi 12 mesi. È un mercato da 287 milioni di euro previsti nel 2011, +41% sul 2010, e passerà a 394 milioni nel 2012, per poi salire a 671 nel 2014. C'è da dire subito però che l'adozione da noi non rinuncia alla prudenza e comunque procede a passo erratico: varia molto a seconda del tipo e dimensione dell'azienda, e agli investimenti pregressi. Per tutte le tipologie di aziende, inoltre, in linea di massima vale il principio che ancora non si fidano così tanto del cloud da affidargli reparti "core", cruciali, del business.

«Per quanto riguarda i sistemi Iaas e Paas (Infractruture e Platform as a service), le piccole e medie aziende aderiscono a servizi cloud di base come lo storage, il backup online, il web hosting – dice Daniela Rao, analista di Idc –. Sono servizi che già hanno 20 anni di vita, nella sostanza; ma di recente hanno cambiato modalità di fruizione rientrando così nel concetto di cloud». Robe tradizionali, insomma. Non a caso seducono le Pmi.

Le grandi aziende adottano Iaas e Paas in modo più significativo, ma comunque con gradualità. A piccoli passi. «Cominciano con private cloud, poi hybrid e solo alla fine passano alle public cloud», dice Rao. Le "nuvole private" sono interne alla stessa azienda, tra le varie sedi, quindi non passano da internet. Per esempio, sistemi centralizzati presso la sede principale, che danno servizi di posta e comunicazione via web a tutte le filiali sparse sul territorio. Le nuvole "ibride" hanno solo alcuni elementi pubblici (su internet), invece. Dagli studi di Idc risulta che le grandi aziende in Italia (e non solo) cercano di tutelare gli investimenti pregressi. Fa quindi una grande differenza se hanno già o no un datacenter. «Nel caso, preferiscono un private cloud per continuare a sfruttarlo. Se non ce l'hanno o devono rinnovarlo possono passare a hybrid o public cloud», dice Rizzotto.

Certo, ci sono eccezioni. Se un'azienda trova un vendor con un'offerta conveniente per il virtual hosting (su public cloud), magari l'accetta. Ma la tendenza generale è diversa. «Per le aziende medie e grandi è importante anche la distanza e la fiducia rispetto al fornitore del servizio cloud. A garanzia della qualità del servizio», dice Rao. Sono aziende del resto che hanno già un pregresso di investimenti in It e fornitori di fiducia. Ci pensano bene prima di abbandonarli. Soprattutto se si tratta di andare da un vendor americano. Ecco perché, secondo gli studi Idc, le aziende italiane preferiscono affidarsi a operatori di telecomunicazioni per i servizi Iaas e Paas.

E comunque, anche quando il cloud vince le resistenze, tende a entrare in azienda solo per applicazioni che servono alla bisogna e che di cui quindi non c'è un bisogno costante e urgente. Applicazioni circoscritte, che non interagiscono con l'intero processo di produzione e di business, e che fanno risparmiare. «Un portale web che può andare offline per due ore senza guai al business può anche passare al cloud. L'applicazione per il conto delle paghe invece no: l'azienda vuole essere sicura di poterla utilizzare subito, appena le serve», dice Rao. «Ma vediamo timori anche ad affidare al cloud l'applicazione della posta elettronica. La considerano infatti ormai necessaria al business – continua –. Porteranno sulla cloud i processi "mission critical" quando saranno sicuri del loro back up e della qualità della banda larga».

È un altro problema: la connessione banda larga deve essere non solo disponibile, ma anche molto affidabile, perché le aziende si affidino pienamente al cloud. Un servizio di datacenter remoto, per esempio, può pure funzionare alla perfezione; ma è inutilizzabile se il collegamento banda larga tra questo e l'azienda fa le bizze. In Italia ci sono ancora distretti industriali dove la banda larga manca o è di scarsa qualità.

Un po' tutte le aziende condividono inoltre preoccupazioni per la sicurezza e la privacy dei dati sulla cloud. Le Pmi hanno maggiori ansie relative alla riservatezza, però: «Temono di subire controlli fiscali per il fatto di avere dati archiviati sui server di un fornitore cloud». Molte altre invece, semplicemente, stanno alla finestra: «Non hanno capito che cosa sia il cloud e come vada preso». Altre non hanno scelta: il responsabile del dipartimento informatico (il Cio, Chief information officer) ha appena subito il taglio del budget It e quindi ha pochi spazi di manovra.

Non cadiamo però in un equivoco: non sempre la prudenza e i timori delle aziende sono infondati. «Noi analisti lo diciamo spesso: non tutti i servizi possono e debbono essere portati sul cloud. Dipende dalla situazione del business e delle infrastrutture dell'azienda», conclude Rizzotto.

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