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L'isola di Cayo Levantado (foto Ufficio del Turismo della Repubblica Dominicana)
L'isola di Cayo Levantado (foto Ufficio del Turismo della Repubblica Dominicana)

Sono i mesi della grande onda. I mesi in cui gli appassionati di surf e kitesurf si danno appuntamento sulla costa settentrionale dell'isola. Secondo www.wannasurf.com, il sito che elenca una trentina di località dominicane consigliabili agli amanti della tavola, arriverà tra gennaio e febbraio sulle spiagge della baia di Sosúa, proprio mentre gli altri, i vacanzieri dediti al relax e ai bagni di sole, si riverseranno nelle spiagge tra La Romana e Punta Cana.

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Sulla costa orientale dell'isola sono infatti situati i migliori alberghi e complessi vacanza del Paese. Decine di migliaia di camere d'albergo, campi da golf di firme internazionali, come Jack Nicklaus o Pete B. Dye, e marina di ottimo livello. Il turismo qui è una vera e propria industria che dà lavoro a quasi un milione di persone e produce una ricchezza pari a cinque miliardi di euro. Eppure, anche il Sudest non è solo resort all inclusive. Lungo la costa si trovano ancora piccole aree appartate e spiagge incontaminate. La più bella, probabilmente, è Playa Limón, a est di Miches: tre chilometri di sabbia bianca sul limitare di un folto assembramento di palme da cocco. Se si è alla ricerca del sogno caraibico per eccellenza, bisogna però raggiungere, con i traghetti in partenza dal villaggio di pescatori di Bayahibe, le isole di Catalina e Saona. La prima ha splendidi fondali e una barriera corallina, a cui si può arrivare anche a nuoto dalla spiaggia, ricca di vita sottomarina. Saona, dove si fa il bagno in compagnia delle stelle marine, è la versione tridimensionale della tipica cartolina: spiagge bianchissime orlate di palme e un mare perennemente turchese. Una visita la merita anche un villaggio arroccato in cima a una collina da cui si gode una vista mozzafiato sul Rio Chavón, un fiume che scorre tra gole profonde, con le sponde ricoperte da una foresta tropicale di palme e mangrovie. È Altos de Chavón, il cuore artistico dell'isola con tanto di scuole di moda, mostre e manifestazioni organizzate da pittori e scultori.

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CANNA DA ZUCCHERO E VUDÙ
Tornati su Hispaniola, per immergersi in un mondo completamente differente basta viaggiare nella tierra adentro, l'entroterra, come i dominicani chiamano tutto ciò che è a più di duecento metri dal mare. È qui, nella provincia di Altagracia, che una trentina di anni fa Francis Ford Coppola girò alcune scene di Apocalypse Now. Sino agli anni 60 non c'era nulla di quello che troviamo oggi. Playa Bávaro e Punta Cana, odierne capitali dei resort all inclusive, non esistevano ancora. La città di Higüey era poco più che un paesino abitato più da bovini che da esseri umani. In compenso, San Pedro de Macorís, a poche decine di chilometri dall'aeroporto internazionale di La Romana, era conosciuta come La Sultana dell'Est. All'epoca, i campi di canna da zucchero che la circondavano erano attraversati da lente locomotive ottocentesche avvolte da dense nuvole di vapore. La Pan Am atterrava con i suoi idrovolanti American Clippers sul Río Iguamo, e caricava lo zucchero destinato agli Stati Uniti. Altri tempi. Tempi di cui non è rimasta traccia, soprattutto dopo il passaggio dell'uragano Georges che si è abbattuto sulla città nel 1998. L'unica cosa a essere sopravvissuta sono le piantagioni di canna da zucchero dove lavorano, oggi, ragazzi che arrivano dall'altra metà dell'isola, Haiti. Sono loro che hanno portato nella Repubblica Dominicana la pratica del vudù, il culto sincretico che sposa gli elementi tipici della cultura africana originaria con quelli della cultura cristiana dei loro padroni. E così, mentre i ragazzi dominicani praticano il culto della mazza da "béisbol", i brujos il lunedì, giorno del Barón del Cementerio, fumano enormi sigari camminando intorno a una tomba con una grande croce, per purificarla. Lo sport nazionale rimane però lui, il béisbol, una realtà che ha partorito dozzine di giocatori per i quali si sono aperte le strade, farcite di dollari, della Major League statunitense. E San Pedro de Macorís, come recita un grande cartellone posto nelle adiacenze del suo stadio, è «la citta del mondo che ha dato il maggior numero di giocatori della Major League».

MANGHI, FARFALLE E LARIMAR
Continuando lungo la costa sudoccidentale di Hispaniola, dopo aver superato Boca Chica, conosciuta ai più per la sua barriera corallina a forma di semicerchio, e il bivio per Santo Domingo, si raggiunge Baní. La vecchia città dei piantatori di ghiaccio (un tempo la gente conservava il ghiaccio sottoterra, avvolgendolo in foglie di banano) oggi è famosa per le sue saline, le cui acque salmastre talvolta si tingono di improbabili colori pastello. Una sosta è consigliata per le grandi dune di sabbia che si ergono a pochi chilometri dal centro città: vecchie di quasi 50 mila anni, arrivano sino al mare e sono l'habitat di una farfalla dalle grandi ali color ambra e nero.
Dopo 130 chilometri si arriva a Barahona, dove non è raro imbattersi in qualcuno che racconta le avventure del pirata Cofresí e delle sue introvabili fortune, nascoste in non si sa quale spiaggia dell'isola. Dopo altri 20 chilometri, si entra a Bahoruco, la patria della carabiné, una danza legata alle tradizioni musicali della costa occidentale della Repubblica Dominicana.
È un piccolo villaggio di casupole tinteggiate con colori vivaci. Alle spalle ripide e nebbiose montagne, davanti, un mare azzurro e una spiaggia sassosa orlata di palme. A Bahoruco abitano qualche centinaio di famiglie che non vivono di pesca, ma cercando il larimar, una pietra locale introvabile altrove, azzurra come il turchese. Sull'isola non c'è bottega di resort o bancarella di mercatino che non commercializzi collane e orecchini in larimar.
A intuirne le potenzialità economiche, poco più di 35 anni fa, fu Miguel Méndez, un dominicano, durante una passeggiata sulla spiaggia. Intuì che le pietre non arrivavano dal mare, ma che il filone principale stava sulla montagna alle spalle del borgo. Battezzò la pietra miscelando il nome della figlia Larissa con la parola mare, per via di una certa affinità cromatica. Oggi un migliaio di persone estraggono il larimar dal cuore della montagna. Miniere che possono essere raggiunte affittando un motoconcho, una moto che funge da taxi e che si inerpica su una strada ripida e fangosa.

CUORE SELVAGGIO
Spingendosi ancora più a ovest, il Parque Nacional Jaragua è la più vasta area protetta del Paese. È una settantina di chilometri a ovest di Bahoruco, e per visitarlo l'ideale è noleggiare una barca e inoltrarsi nella laguna. L'acqua, per via del fondo fangoso, ha strani colori psichedelici e ospita folti branchi di titaco, un piccolo pesce endemico, e qualche pattuglia di tozze tilapie. Il parco è un paradiso per i birdwatcher, visto che nelle isole della laguna vivono il sessanta per cento di tutti gli uccelli di Santo Domingo, tra cui folte colonie di spatole rosate, fregate e aironi bianchi. Gli uccelli condividono il territorio con una grande comunità di iguane rinoceronte, che passano le giornate sonnecchiando al sole. C'è infine la possibilità, se si ha un po' di fortuna, di imbattersi in un animale goffo e lento che vive da queste parti da quasi 30 milioni di anni. È il solenodonte, un mammifero dotato di saliva velenosa, che trascorre le ore diurne riposando negli anfratti del terreno o nascosto nei tronchi di vecchi alberi abbattuti, attendendo l'oscurità per uscire alla ricerca di cibo. Somigliante a un grande toporagno di circa un chilo, esclusa la lunga coda squamosa che può misurare fino a 25 centimetri.

L'ULTIMA SPIAGGIA
Proseguendo lungo la costa, in direzione del confine con Haiti, si arriva alla spiaggia di Bahía de las Águilas, la più selvaggia di tutta la Repubblica Dominicana. Una volta giunti a Cabo Rojo si prosegue sino a Las Cuevas, un minuscolo villaggio di pescatori. Guardandosi intorno ci si accorge di essere completamente fuori dal tempo: strade sterrate, baracche color pastello, bambini che giocano scalzi vicino ai resti di un grande falò e un filo di musica che arriva da una vecchia radiolina. I pescatori locali sono disponibili a noleggiare una barca, necessaria prima per costeggiare una serie di scogliere, ricche di faraglioni e anfratti naturali, dominate da una vegetazione a base di cactus, e poi per arrivare a una spiaggia che, per estensione e totale mancanza di presenza umana, esalterà il Robinson Crusoe presente in ogni turista.

IL CANTO DELLE BALENE
Sino al XVII secolo Santa Bárbara de Samaná era un importante porto inglese sulla rotta degli schiavi. Da Santo Domingo ci si arriva in un paio d'ore, grazie a un'autostrada che collega Boca Chica con Sánchez, la porta della penisola. Qui, il Parque Nacional de los Haitise è una riserva naturale caratterizzata dai mogotes, collinette di roccia calcarea alte circa 40 metri che emergono dall'acqua, e dalla più grande foresta di mangrovie di tutti i Caraibi. Il Parque è il regno di una sterminata colonia di volatili: aironi, trampolieri, pellicani e la fregata magnifica con la sua particolare sacca rossa. Numerose anche le tartarughe marine, che siano della specie verde, Caretta caretta o il gigante delle testuggini marine, la tartaruga liuto. Percorrendo la penisola di Samaná sino alla sua estremità si raggiunge Las Galeras. Oltre, c'è solo il mare. Qui si può affittare un motoconcho e farsi portare a Playa Rincón, una spiaggia lunga più di tre chilometri, con una sabbia bianchissima. C'è persino un fiume che sfocia in mare consentendo un bagno in acqua dolce e salata insieme. Via mare, partendo da Las Galeras, si può raggiungere un'altra spiaggia, Playa Frontón.
Il bastione roccioso che la sovrasta è il luogo ideale per avvistare le 10 mila balene che convergono in queste acque tra gennaio e marzo. I dominicani le chiamano ballenas jorobadas, balene con la gobba, per via della curvatura che prende il dorso ogni volta che si immergono in profondità. Da tempo hanno adottato queste acque, calde e riparate, per praticare il rito del corteggiamento o per far nascere e svezzare i piccoli. Uno spettacolo che come colonna sonora ha il languido canto dei maschi adulti, udibile anche a 35 chilometri di distanza…

16 dicembre 2011

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