Fatima, per il momento, è da sola. Aspira il fumo lentamente. Con estremo piacere. «Sono una shisha-dipendente (francesizzata, chicha). Vengo spesso, alla fine di una giornata di lavoro». Sembra più matura dei suoi 23 anni. Ben vestita, un po' sexy. Giusta, molto giusta. «Faccio la conseillère en style per un marchio di abbigliamento. In pratica aiuto i clienti più abbienti a trovare l'abito che fa per loro. A dare vita al proprio look». Presto arrivano alcuni suoi amici, tutti tiratissimi. Confermano che Fatima in quanto a look è un'autorità. Benvenuti a La Suite, in un'oscura stradina del XX arrondissement, dietro a place de la Nation. È uno dei più gettonati tra gli shisha lounge, detti anche shisha fashion. Ovvero, i locali dove si beve (non alcolici), si mangia (preferibilmente cibo halal, rispettoso dei dettami dell'Islam) e soprattutto si fuma la pipa ad acqua, alias narghilè.
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È l'ultima tendenza della Parigi notturna, che mescola look branché alle abitudini dei circoli magrebini della capitale. La Suite ne è il tempio. Skai bianco e lucido sulle pareti, lampadari design che scendono dal soffitto, luci rosa fosforescenti: una decorazione molto contemporanea con pochi, e nascosti, riferimenti stilistici all'Oriente. Come dire, sono tramontati i tempi dei locali polverosi dove si fumava la shisha, spesso in quartieri malfamati come la Goutte d'Or. E anche la musica è cambiata. Nulla di tradizionale, ma solo e rigorosamente r&b per lo più francese, hip hop e rai'nb chic, la nuova frontiera melodica della banlieue. Ma la trasformazione dei bar à shisha non è solo estetica.
«Una volta questi erano ambienti prevalentemente maschili. Ora, invece, la maggioranza dei clienti è rappresentata da donne», osserva Marco, di origini algerine, alla direzione di uno stuolo di camerieri di nero vestiti. «Qui come donna mi sento protetta: non mi importuna nessuno. E anche i miei genitori preferiscono che venga in un posto del genere che in una normale discoteca. Credono sia più sicuro», osserva Fatima. Ai margini del XVII arrondissement, Lotfi un anno fa ha inaugurato il Mamounia, dove già si sono intravisti alcuni vip, come i giocatori di calcio Yoann Gourcuff e Franck Ribéry. Le fiammelle delle candele si riflettono sui muri, decorati con strani arabeschi. Nello spazio vip si respira un'atmosfera da Philippe Starck, mentre nella Sala Orientale si ritrovano fiori rossi sui muri e cuscini colore argento sui divanetti. Ebbene, Lotfi ritiene che questa relativa tranquillità degli shisha lounge, soprattutto per il pubblico femminile (il 60% di quello totale del Mamounia), sia da mettere in relazione proprio con l'assenza dell'alcol. Mostra ridendo una bottiglia di Night Orient, con un grosso "0 per cento" stampigliato sopra: champagne con zero alcol. «Non vendiamo quello vero non solo per ragioni religiose, ma soprattutto per evitare problemi, vedi clienti ubriachi che cominciano a disturbare». Lotfi, che ha il taglio dei capelli sfumato alla perfezione e il look studiato di tutti gli altri, spiega con naturalezza che lui serve esclusivamente cibo halal, quello preparato nel rispetto della legge islamica. «C'è chi mangia solo quello, e agli altri non importa nulla, perché halal o non halal il gusto è esattamente lo stesso».
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È così che tradizione e modernità si fondono nel décor e nella testa della gente, aggirando i problemi di convivenza e di frustrazione della periferia parigina raccontati negli svariati reportage dei giornali francesi. Tanto che qualche sociologo ha già pensato a mettere loro un'etichetta, beurgeoisie, ovvero una neoborghesia beur, come nel verlan, lo slang della banlieue che inverte le sillabe delle parole, si chiamano gli arabi. Una fetta di Francia finora invisibile, composta da figli d'immigrati, ma che fa studi di alto livello o che già lavora e guadagna bene. Che ama mostrarsi, incontrarsi, corteggiarsi. Senza complessi.
«Veniamo qui anche perché si possono conoscere delle ragazze carine», confida Mohamed, 23 anni, cliente fisso del Mamounia. Poi aggiunge: «Si può riscoprire il bello dell'atmosfera orientale, il calore umano dei nostri Paesi d'origine». All'uscita da un bar-à-shisha, la serata può continuare in discoteca, ad esempio al Milliardaire, sugli Champs-Élysées. Anche se, sempre più spesso, i lounge o i music bar rappresentano l'unica tappa della notte parigina, visto che le discoteche classiche, troppo impersonali, sono in crisi. C'è fame di convivialità, intimità, incontri veri. E non solo per i magrebini. «Loro rappresentano il 60 per cento della nostra clientela» sottolinea Lotfi. «Per il resto ci sono molti francesi doc. E, stranamente, sempre più asiatici».
Da quando hanno cominciato a diffondersi tre anni fa, gli shisha lounge, stanno cercando sempre più di differenziarsi. In alcuni si può addirittura ballare, oltre che ascoltare la musica mixata dai dj più apprezzati sulla piazza parigina. Altri shisha fashion si combinano invece con gallerie d'arte. E poi si cerca di ampliare l'offerta dei gusti del narghilè, come al Mamounia, dove si può fumare alla vaniglia-menta o alla menta-bubblegum, con la shisha sempre servita in un secchiello da champagne con il ghiaccio, «perché» assicura Lotfi «così mantiene freschezza». Quanto alla fascia d'età, si può stare tranquilli, poiché la clientela va dai 20 ai 45 anni. Anche se, come è ovvio, sono i più giovani a primeggiare. E tutti, uomini o donne, di origine magrebina o meno, ti-ra-tis-si-mi. E che il look sia così importante lo si capisce all'entrata de La Suite. Qui, davanti all'ingresso, si erge un temuto buttafuori, che chiamano il Fisionomista. È lì per selezionare il pubblico all'entrata. Già, se sei uomo, o non arrivi accompagnato, sei spacciato: non entri. Poi attenzione all'abito. Alle scarpe. Così, basta un piccolo cenno del viso al Fisionomista per approvare o disapprovare. È l'unico stress della serata.
7 febbraio 2012, aggiornato il 29 ottobre 2012
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