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Export: il Made in Italy regge all’urto della pandemia e si prepara a un biennio di consolidamento

Più forte la collaborazione tra Pmi all’interno della filiera nazionale per superare fattori di rischio esogeni.

La pandemia non scalfisce la forza dei prodotti italiani sui mercati esteri: nel biennio 2018-19 erano il 58% le PMI sotto i 50 addetti che esportavano i propri prodotti, tra il 2020 e il 2021 la quota è praticamente invariata e pari al 57%. Fissa al 76% la percentuale delle aziende con più di 50 addetti che continuano a vendere oltre confine dal 2019 a oggi. Allo stesso tempo, la crisi ha insegnato alle aziende a far squadra, rafforzando la collaborazione all’interno della filiera nazionale (+14 punti percentuali la propensione a ricercare fornitori in Italia rispetto al pre-pandemia). È quanto emerge dai dati del Market Watch di Banca Ifis realizzato in collaborazione con Format Research intervistando un campione rappresentativo di 500 aziende italiane. Le piccole e medie imprese hanno saputo adeguarsi al cambiamento ed efficientarsi, superando i problemi relativi alle catene di approvvigionamento, tanto che le importazioni sono rimaste sostanzialmente stabili mentre è aumentata la fiducia nella proiezione al di fuori dei confini nazionali. Ben il 16% delle PMI prevede infatti di potenziare l’export nel 2022-23, grazie alla crescita della domanda (62% che diviene 79% per il settore tecnologia), al miglioramento delle relazioni internazionali (49%) e, in generale, grazie al peso del brand Made in Italy (31%). Elemento, quest’ultimo, che risulta particolarmente importante per le PMI più piccole (44% delle realtà tra i 10 e i 19 addetti) e per il settore delle costruzioni (61%). La destinazione dei prodotti delle nostre PMI rimane principalmente l’Unione Europea (67% dei casi).

A confermare la centralità delle esportazioni è Daniele Del Genio, Amministratore di Ametlab Srl, società dell’alta moda, proprietaria del brand Rossorame. «Per noi è un fattore imprescindibile, il mercato estero assorbe la maggior parte della produzione e offre marginalità più interessanti rispetto a quello domestico» afferma Del Genio. Il dirigente dell’azienda nata nel 2015 sottolinea come la pandemia abbia generato una contrazione importante dei volumi di vendita. In questa fase, però, «registriamo una ripresa delle connessioni internazionali e l’avvio di contatti commerciali con nuovi Paesi come Israele».

Un dato emerso anche dalla ricerca di Banca Ifis, secondo cui il 30% delle imprese sta cercando di espandersi in altri mercati rispetto quelli già presidiati; in particolare, tra quelle che valutano nuovi sbocchi commerciali, il 76% guarda ai Paesi Ue, il 31% all’America, il 28% ai Paesi europei non Ue.

Le dinamiche relative alle esportazioni sono similari nell’import, con un percentuale praticamente invariata, prima e post lockdown, di imprese legate a fornitori esteri (47% verso 46%). I fornitori esteri provengono dall’Ue nel 70% dei casi.

Un quadro che non appare destinato a cambiare nel prossimo biennio: secondo il 93% delle aziende intervistate, da qui al 2023 non ci saranno modifiche al modello import: appena il 2% si aspetta un calo mentre un 5% ipotizza un aumento degli approvvigionamenti sui mercati esteri, in relazione alla difficoltà di reperire forniture sul territorio nazionale (61%) e a prezzi delle materie prime più competitivi al di fuori dei confini (45%).

A uscire rafforzati dall’emergenza sanitaria sono gli accordi di filiera, collaborazioni tra imprese che, già emerse durante il lockdown, sono destinate a diventare sempre più diffuse. Nel confronto tra periodo pre-pandemico e quello post-pandemico, si evidenzia un aumento del numero delle PMI che si uniscono per ricercare fornitori sul territorio, dal 62 al 76% del totale. Ancora, passeranno dal 39 al 46% quelle che stringeranno accordi per ottenere crediti commerciali, dal 38 al 47% quelle che lo faranno per la co-progettazione. Significativa anche la quota di piccole e medie imprese che collaboreranno per implementare piattaforme integrate per facilitare la comunicazione fornitore-cliente, destinata a salire dal 19% pre-pandemico al 35% del prossimo biennio.

Accordi che possono concretizzarsi anche attraverso percorsi di M&A con aziende a monte e con aziende a valle nella filiera. È il caso, ad esempio, di Intent Srl, realtà attiva nella consulenza SAP e in ambito Microsoft. «Per noi è un aspetto fondamentale», afferma il Responsabile acquisti Riccardo Beltramme, «oggi le società partecipate e acquisite da Intent sono diverse e concorrono al 40% del fatturato del gruppo». Una strategia, quella della crescita anche per linee esterne, che l’azienda continua a perseguire: «Puntiamo ad acquisire e sviluppare partnership con imprese del nostro settore per raddoppiare il giro d’affari entro il 2023» chiarisce Beltramme.

Che siano acquisizioni, fusioni o semplici collaborazioni è certo che gli accordi di filiera rafforzano le aziende italiane nel momento in cui si rivolgono ai mercati esteri, riducendo l’esposizione a fattori di rischio esterni, consolidando le catene di approvvigionamento e i canali di vendita.


Il report

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WP_BancaIfis_10-Ottobre2021

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