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Flessibilità, inclusione ed empatia: nel post Covid anche i leader si trasformano

Riconoscere e trattenere figure manageriali carismatiche è sempre più complesso, anche per le piccole e medie imprese. Nell’era dello smart working si aprono però nuove opportunità

La leadership spesso emerge con maggior chiarezza nei momenti di difficoltà, e l’uscita dalla fase più acuta della pandemia potrebbe diventare un’occasione per valorizzare una skill così essenziale per le aziende.

Qual è il profilo dei leader di domani e quali sono le difficoltà che incontrano le imprese nel selezionare e crescere queste figure?

La ricerca “Global Leadership Forecast 2021” realizzata dalla società di consulenza DDI, ci offre una mappa ampia e dettagliata. Giunto alla nona edizione, il rapporto si basa su un’indagine che coinvolge oltre 2mila responsabili HR e poco meno di 16mila leader in tutto il mondo, provenienti da 50 diversi Paesi e attivi in 24 diversi settori industriali. Il risultato delle interviste delinea un ritratto del leader come di una «figura capace di apprendere in maniera rapida nuove abilità e di adattarsi al cambiamento, in grado di gestire argomenti complessi, come l’inclusione e la diversity, e di agire con empatia nei confronti dei collaboratori».

Individuare persone con caratteristiche di leadership nelle organizzazioni è tuttavia è una sfida alquanto problematica per il 55% degli Amministratori Delegati intervistati. Si tratta, in effetti, di un nodo complesso da sciogliere. Per gli intervistati, più critico che affrontare una recessione globale o una ripresa economica troppo lenta.

Anche le risposte dei responsabili HR intervistati confermano le difficoltà riscontrate dai vertici aziendali: se nel 2011 il 18% dei responsabili delle risorse umane affermava di avere dei potenziali leader all’interno delle loro aziende, persone a cui non erano ancora state conferite responsabilità, nel 2020 il dato è sceso all’11%.

La ricerca di queste figure così preziose si sposta dunque spesso all’esterno dell’azienda: il 52% dei CEO si pone la domanda di come attrarre i migliori talenti e di trattenerli in azienda dopo l’assunzione. Nel mirino ci sono soprattutto figure aziendali ad alto potenziale tra i 21 e i 38 anni senza incarichi manageriali.

Tra i temi emersi, la necessità di ottenere dei feedback, indicata dal 30% degli intervistati come un elemento importante e di riconoscimento della leadership. Queste figure hanno infatti bisogno di migliorare le proprie capacità comunicative, riconoscere l’importanza della diversity in azienda, richiedere chiarezza nelle scelte aziendali e, soprattutto, dare un valore molto alto alla flessibilità. Un tema, quest’ultimo, che la pandemia e il necessario e sempre più imperante utilizzo delle tecnologie digitali hanno contribuito a sdoganare in molti settori e potrebbe rivelarsi una delle possibili soluzioni ai problemi di “burn out” che riscontrano molte figure aziendali di rilievo. Si tratta di un tema da non sottovalutare, dato che il 26% di chi ne è affetto immagina di cambiare azienda entro dodici mesi.

Di sicuro, conferma il report DDI, la differenza la fa l’empatia di chi occupa posizioni di vertice all’interno dell’organigramma aziendale. La mancanza di questa soft skill, infatti, viene identificata come la causa principale del “burn out” di chi lavora in azienda, sia in posizioni impiegatizie sia di leadership.

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