L’ultimo anno e mezzo non è stato un periodo facile nel quale guardare al futuro con ottimismo tra l’incubo della pandemia e l’incertezza sugli effetti del lockdown sull’economia reale e sui comportamenti di consumo. Eppure, le piccole e medie imprese italiane non hanno smesso di innovare per restare al passo e agganciare con rapidità i primi segnali di ripresa: il 52% ha infatti introdotto almeno un’innovazione di prodotto, di processo od organizzativa nel corso del 2020. Ma ciò che conta sottolineare è che questa innovazione non è semplicemente l’utilizzo di un software, come può essere un’app per svolgere le riunioni in smart working, ma è qualcosa di ben più strutturale che riguarda prodotti, servizi e soprattutto processi.
Stando infatti ai risultati del Market Watch PMI di Banca Ifis, che ha intervistato un campione rappresentativo di oltre 1.800 piccole e medie aziende nel mese di aprile 2021, il 73% delle PMI già utilizza tecnologie 4.0 o prevede di adottarle entro la fine del 2023.
Entrando più nel dettaglio, il 31% delle PMI italiane adopera in azienda tecnologie legate alla cyber security, il 29% impiega invece un CRM per la gestione commerciale. Una su quattro si affida al cloud e il 16% ha investito nell’industrial IoT, l’internet delle cose. Quanto all’adozione di tecnologie ancora più avanzate, dalla survey di Banca Ifis emerge che l’8% delle PMI intervistate ha affermato di utilizzare big data e machine learning, con un ulteriore 14% pronto ad aggiungersi entro il 2023; mentre il 7% utilizza già robot collaborativi e interconnessi, solo il 5% ha dimestichezza con la realtà aumentata. C’è infine un 1% che impiega nanotecnologie e materiali intelligenti, percentuale che è stimata in aumento di almeno 6 punti entro il prossimo biennio.
Uno sforzo di innovazione che secondo il 59% degli intervistati porterà come beneficio un miglioramento della qualità di prodotto e una contestuale minimizzazione degli errori di processo. Esigenza, quest’ultima, sentita in maniera particolare dalle aziende di maggiori dimensioni, tanto da divenire il primo obiettivo degli investimenti digitali per il 71% delle società con oltre 50 addetti. Tra le ragioni che spingono le piccole e medie imprese ad aprirsi al futuro ci sono anche l’aumento della produttività (41%), il miglioramento della sicurezza all’interno degli stabilimenti (27%), la possibilità di entrare in nuovi mercati o di lanciare nuovi prodotti (24%), l’opportunità di personalizzare l’offerta ai clienti o di garantire maggiore flessibilità.
Ma cosa significa, in concreto, l’ingresso del 4.0 in azienda?
«Gestione computerizzata delle attività produttive, dalla programmazione alla realizzazione del prodotto finito», spiega Giuseppe Viola imprenditore di Isol Marine, azienda specializzata nell’isolamento delle imbarcazioni e che ora si occupa, con successo, anche di arredamento per la cantieristica di alta gamma. «Abbiamo investito sulla personalizzazione e sull’innalzamento del livello qualitativo del prodotto, creato su misura per ogni commessa. Risultati possibili solo grazie ai nuovi macchinari a controllo numerico. Una scommessa vincente che ci ha portato a raddoppiare, sull’arredamento da yacht, l’ammontare di commesse già nel primo trimestre del 2021».
L’innovazione di prodotto, processo o organizzativa non ha tuttavia riguardato nella stessa misura tutte le aziende. A incidere sono infatti le dimensioni: nelle PMI che contano tra 50 e 249 dipendenti la percentuale ha raggiunto il 70% ma anche nelle piccole (20-49 addetti) e micro imprese (sotto i 20 dipendenti) la quota di chi ha investito nella tecnologia è significativa con una penetrazione, rispettivamente, del 55% e del 47% dei casi.
Il settore produttivo ha un peso importante: tra quelli che maggiormente puntano sull’innovazione ci sono la Chimica e Farmaceutica, con il 76% delle imprese che hanno introdotto un’innovazione, il Sistema Casa (63%) e la Tecnologia (60%).
Rispetto alle modalità di reperimento delle risorse economiche necessarie per sostenere gli investimenti, il 56% delle PMI intervistate ha fatto ricorso all’autofinanziamento, mentre il 35% a finanziamenti di natura bancaria. Solo il 7% ha impiegato sostegni pubblici.
Il percorso di modernizzazione è ancora in corso e sarà implementato: il 48% delle imprese ha infatti comunicato che investirà anche nel prossimo biennio. E lo farà per digitalizzare i processi (34%), per rendere la produzione più sostenibile (32%), per implementare la ricerca e sviluppo o per migliorare la gestione della relazione con i clienti (entrambe al 21%) e per il reshoring delle filiere di fornitura (12%). Tutti aspetti importanti per guidare la ripresa dopo la pandemia, con un approccio sostenibile.
L’adozione di nuove tecnologie comporta anche l’assunzione di personale competente. Lo conferma Egidio Giacomini, CEO di Giacomini e Gambarova srl, azienda leader mondiale nella produzione di zerbini e rotoli in fibra di cocco. «Nell’ultimo anno sono state assunte 8 persone con le competenze per la gestione di tecnologie 4.0, a fronte di una media storica del personale di circa 45 risorse». Tutto questo in un momento complicato, con il blocco della produzione da marzo a maggio dello scorso anno. E se si assume in questo contesto, anche la retorica per cui l’innovazione distruggerà posti di lavoro viene meno.
“Per un’azienda come la nostra che, unitamente all’associata indiana Kerafibertex, vende il 65% del prodotto sui mercati internazionali, la produttività è determinante.” precisa Eleonora Giacomini, marketing manager “Con questo obiettivo abbiamo investito in macchinari 4.0 e abbiamo predisposto un piano di investimenti in nuove tecnologie per i prossimi 18 mesi. Il piano servirà per ultimare la transizione verso una produzione totalmente sostenibile e circolare, garantendo il riutilizzo del 100% degli scarti di produzione”