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Le donne d’impresa pagano il conto più salato della pandemia

Minor supporto economico e finanziario, più difficile gestione del tempo: così le aziende al femminile non decollano. L’Italia in fondo alla classifica mondiale.

Israele, Stati Uniti, Svizzera. Sono queste le tre nazioni più accoglienti per le imprenditrici. A dirlo è l’edizione 2020 del report “Mastercard Index of Women Entrepreneurs”, un rapporto che misura la partecipazione delle donne nel “fare impresa” in 58 Paesi del mondo che rappresentano quasi l’80% dell’intera occupazione femminile su scala globale.

Lo studio si basa su 12 indicatori, articolati in 25 subindicatori, che misurano elementi come l’accesso ai finanziamenti, le condizioni generali di supporto alle aziende, l’accesso delle donne all’educazione e la percezione culturale del loro ruolo. Tutti fattori che permettono di assegnare un valore numerico a ciascun Paese preso in considerazione sulla base di quanto facilitino l’imprenditoria femminile.

In Israele, nazione al vertice della classifica, il governo si è posto come obiettivo quello di raddoppiare, nel giro di due anni, il numero di imprenditrici attive sul mercato, implementando una serie di iniziative di supporto alle donne che vogliono dar vita a una piccola e media impresa. Uno sforzo analogo lo si è visto in Svizzera, che non a caso occupa la terza piazza della classifica. Stati Uniti e Nuova Zelanda, rispettivamente secondi e quarta, non hanno visto particolari riforme introdotte nell’ultimo anno ma avevano già un ecosistema favorevole. Per questi due Paesi gli investimenti a supporto dell’imprenditoria femminile hanno garantito un vantaggio competitivo consentendo di rimanere nelle zone alte della classifica.

Nelle ultime posizioni incontriamo invece Bangladesh, Algeria ed Egitto. E l’Italia? Purtroppo, il nostro Paese non si distingue a livello mondiale come realtà favorevole alle donne imprenditrici. Pur avendo guadagnato cinque posizioni in classifica rispetto all’edizione 2019 del report “Mastercard Index of Women Entrepreneurs”, registriamo un poco esaltante 42simo posto in classifica su un totale di 58 posizioni. L’Italia ha ottenuto un punteggio di 57,2 contro il 74,7 di Israele e il 36,4 del Bangladesh.

Ma quali sono le principali difficoltà che, in Italia, una donna deve affrontare nel dar vita e gestire una propria azienda? Secondo un report di Guidant Financial nel 2020 il 24% delle titolari di una piccola attività ha vissuto come principale problematica quella legata al marketing e alla pubblicità, il 17% ha lamentato problemi di flusso di cassa o di capitale, il 15% ha evidenziato la difficoltà nell’assumere il personale. Senza contare, nel 2020, l’impatto della pandemia da Covid-19.

L’emergenza sanitaria ha infatti notevolmente influito sulla gestione del tempo delle donne che, in un momento di forte difficoltà si sono trovate a dover gestire, specialmente nei periodi del lockdown, i figli a casa da scuola e le persone più fragili della famiglia.

Eppure, secondo uno studio del Boston Consulting Group del 2018, le donne imprenditrici fatturano più dei colleghi maschi, pur ricevendo meno finanziamenti. Per ogni dollaro di investimento raccolto, le donne producono ricavi per 78 centesimi, gli uomini per 31.

Il fatto che le imprenditrici riescano ad attrarre meno investimenti degli uomini, si legge nel report “Funding women entrepreneurs” redatto dalla Commissione europea e dalla European Investment Bank, può essere legato al fatto che operano in settori e attività come l’ospitalità, il commercio al dettaglio e i servizi sociali che non richiedono forti iniezioni di capitale. Di contro il settore che attrae maggiori investimenti di venture capital a livello europeo rimane quello legato allo sviluppo di software, notoriamente caratterizzato da una bassa presenza femminile.

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