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RAPPORTO PAESE | Argentina

La svolta pro business

Crescono le opportunità e calano i vincoli alle imprese che vogliono investire

«Una svolta pro business», titolavano i giornali di tutto il mondo, a metà dicembre del 2015, nei giorni dell'insediamento del nuovo presidente Mauricio Macri. .
Sei mesi dopo, cosa è cambiato? Cosa ha fatto Macri a beneficio delle imprese? E in particolare di quelle estere interessate a investire in Argentina ? Analizzando i primi provvedimenti adottati si percepisce una netta favorevole alle imprese.
Macri ha svalutato il tasso di cambio tra peso e dollaro e ha conferito un assetto più aperturista all'economia.
Macri ha reso più fluide le procedure di investimento e quelle di import-export. Oggi sono in vigore le licenze automatiche per 12mila categorie merceologiche su 15mila, concesse in un breve lasso di tempo, tra 48 a 72 ore.
Ciò che non è coperto dalle licenze automatiche (cioè 3mila licenze), sono non-automatiche e vengono valutate caso per caso.
Dall’incontro sull’Argentina organizzato a Roma da Mediatrends - Osservatorio sull’America Latina diretto da Roberto Montoya - emerge una nuova linea di politica commerciale che l’ambasciatore argentino a Roma, Tomas Ferrari, ha illustrato nel suo intervento “Macri e il nuovo cambio politico”.

Un cambiamento radicale rispetto a quello degli ultimi 15 anni, in cui non è stato facile avere rapporti commerciali con Buenos Aires. Oggi la linea del governo è questa: «Non temere la globalizzazione ma approfittare».


Una nuova postura confermata dalla Sace che ha firmato un accordo con il Banco Nacion per 50milioni di crediti.
La procedura piuttosto complessa e vincolante «dichiarazione giurata, anticipata d'importazione» rilasciata dalle autorità argentine non ha di certo facilitato lo sviluppo delle attività commerciali. Un imprenditore italiano, che chiede di non essere citato, operativo nel settore alimentare, spiega al Sole il meccanismo della Dichiarazione giurata anticipata di importazioni. È il famigerato nulla osta che consente agli operatori commerciali di importare prodotti dall'estero. Si tratta di un documento che le autorità argentine concedono in modo arbitrario e restrittivo. Che, ovviamente, dà spazio alla corruzione dei funzionari. Ciò significa che le attività imprenditoriali vengono scoraggiate.
Un meccanismo che ha sostituito quello degli anni precedenti, ancora più farraginoso: un imprenditore argentino interessato a importare in Argentina pasta italiana lo poteva fare a condizione di esportare, dall'Argentina verso l'Italia, una quantità equivalente di altri prodotti argentini.
Insomma si sono avvicendati regolamenti e procedure molto complessi e soprattutto disincentivanti per gli operatori economici.
L'idea, di per sé mirata a tutelare le produzioni argentine e a evitare che il Paese venga invaso da prodotti stranieri senza poter esportare i propri, ha assunto connotati caricaturali e si è tradotto in una chiusura protezionistica penalizzante per la stessa Argentina. All'importatore della Porsche in Argentina, un tedesco radicato a Buenos Aires, è stato chiesto di esportare, verso la Germania, l'equivalente in vino.
Grandi opportunità, un territorio sconfinato, tante produzioni possibili, eppure...il Paese produce cibo per 400milioni di persone e non riesce a sfamare tutti i suoi 40milioni di abitanti.
Pietro Baccarini, presidente della Camera di Commercio italo-argentina, sostiene i rapporti dovrebbero migliorare ma con una tempistica non prevedibile. Più mercato e più facilitazioni per gli imprenditori, questo sì. Ma azzardarsi a prevedere di quanto e quando aumenterà l'interscambio tra i due Paesi, attualmente pari a 2,7 miliardi di dollari, è piuttosto difficile.
La storia delle imprese italiane in Argentina è gloriosa, sia chiaro. Una presenza storica è quella di Fiat, Pirelli, Techint, Telecom, Enel, Camuzzi. Di lunga data quella di Mapei, Ferrero, Ghella, Impregilo, Trevi, Finmeccanica.
Eppure il made in Italy soffre; tessile, alimentare, mobile. I controlli di capitale, il tasso di cambio fisso con il dollaro, la difficoltà a esportare gli utili scoraggia gli investitori.
Il gruppo Carraro è un'eccezione. Operativo nell'ambito dei macchinari agroindustriali, produce sistemi di trasmissione. Enrico Carraro guida un'impresa che in Argentina occupa 400 dipendenti e fattura 65 milioni di dollari l'anno. «Siamo presenti dal 1998 e anche se il settore agroalimentare soffre non abbiamo intenzione di andarcene. Abbiamo puntato su qualità e tecnologia».
Insomma l'idea è quella di un Paese che cambia ma con regole certe per chi è interessato a investire.

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