Un nuovo inizio. La politica argentina, con l'elezione del nuovo presidente Mauricio Macri si apre a una stagione differente proprio perché il suo orientamento politico è liberista. Non peronista né radicale, i due riferimenti forti della politica di Buenos Aires degli ultimi decenni.
I suoi annunci sono stati chiari: «Riforme e meno vincoli, liberalizzazioni e welfare, consumi e crescita. Promette a tutti: ai cittadini, alle imprese, al palazzo».
L'emergenza economica è considerata prioritaria: è stato costituito un super-gabinetto economico con sei ministri. «Metterò tutta la mia energia per costruire un'Argentina con povertà zero».
Macri si è insediato alla Casa Rosada lo scorso 10 dicembre. Al Congresso è in minoranza e il peronismo, per ora, non ha dichiarato guerra al nuovo governo liberista.
La libreria Ateneo, una delle più belle di Buenos Aires, in calle Florida, mostra in vetrina titoli di geniali narratori argentini, degni eredi di Borges, Cortazar, Sabato, Giardinelli. Ma anche un'infilata di copertine che descrivono l'inspiegabile volatilità dell'economia. Eccone alcuni: El horror economico, Como acabar con la pobreza (Come sconfiggere la povertà), El default mas tonto de la historia argentina (Il default più stupido della storia), Esta vez serà diferente (Stavolta sarà diverso?), La gran degeneracion (La grande degenerazione), Un pendulo austral (Un pendolo australe).
Macri è il rampollo di una ricca famiglia di origine italiana che ha saputo gestire bene il Boca Juniors e governare il comune di Buenos Aires in modo accettabile. Ora le difficoltà sono moltiplicate e i nodi sono molti.
I titoli dei testi economici, quelli esposti in libreria, ne ricordano alcuni, quelli macro: la povertà, il default, l'accordo con i Fondi avvoltoio, la coazione a ripetere di un modello economico che non si affranca dallo schema di sempre, quello di un Paese esportatore di materie prime agricole, vittima delle oscillazioni dei prezzi delle commodities. È la governabilità del Paese la parte più dura.
Macri ha guidato il Boca Juniors, una società calcistica che genera utili e riflette l'immagine dell'Argentina in tutto il mondo. Ha vinto 17 titoli. Sono proprio le vittorie calcistiche che lo hanno catapultato in politica dove nel 2005 ha fondato il Pro, Proposta repubblicana, un'alleanza di centrodestra. La guida del Paese è tutt'altra cosa.
I rivali lo definiscono «un fighetto viziato» , figlio del miliardario Franco Macri, imprenditore nato in Italia, approdato in Argentina come immigrato e capace di costruire un impero economico. Edilizia, calcio, agrobusiness e ancora oggi, ottuagenario, è presidente della Camera di commercio Argentina-Cina. Il presidente eletto cambierà i programmi di politica economica ma il cambiamento sarà «senza vendette e regolamenti di conti».
È una vittoria storica, quella di Mauricio Macri : ha sbaragliato i peronisti e i radicali, le due forze politiche che da sempre si contendono l'Argentina. I peronisti occupano i centri di potere. I loro valori sono quelli di sempre: giustizia, solidarietà, uguaglianza e identità nazionale. Troppo spesso le derive populiste e la corruzione hanno trasfigurato gli obiettivi.
In questi primi sei mesi qualcosa si è mosso; difficile capire se al Congresso di Buenos Aires sia decollato un nuovo corso o se i peronisti stiano ancora concedendo una lunga tregua in quella guerriglia parlamentare che spesso ha spinto il Paese nell'immobilità.
Secondo gli analisti è certo che il nuovo governo sarà costretto - per volontà o per forza - a cambiare l'attuale politica economica. In particolare, dal nuovo Esecutivo ci si aspettano misure più favorevoli ai mercati e agli investimenti esteri. Non solo. Sul fronte internazionale, migliori rapporti con gli Stati Uniti e meno accordi regionali, soprattutto con i Paesi guidati da governi di sinistra, ovvero Venezuela, Bolivia, Paraguay ed Ecuador. «Vamos Argentina!», ha gridato domenica notte, il Mauricio nazionale. Che la sorte lo accompagni. Perché di certo, non lo faranno i peronisti.