Il 2015 per l’Estonia è stato l’anno peggiore in termini di crescita dalla grande recessione del 2009: +1,1%. Colpa del rallentamento degli scambi dovuto a fattori economici globali – la crisi degli emergenti, il calo dei prezzi del petrolio, con ripercussioni sullo shale oil estone – e geopolitici: le sanzioni incrociate tra Russia e Ue, che hanno colpito particolarmente i Paesi Baltici, più esposti in termini di interscambio. L’Estonia, in particolare, ha registrato contraccolpi nel settore agroalimentare, dove Mosca rappresenta un partner importante. Le previsioni per quest’anno e per il 2017 sono però improntate a un certo ottimismo (o perlomeno lo erano prima del referendum britannico, le cui ricadute sull’intera Eurozona ancora devono essere ponderate): +1,9 e +2,4% per la Commissione europea, +2,7 e +2,9% per gli analisti di Nordea Bank, grazie a una ripresa dell’export e a una domanda interna che dovrebbe restare robusta
Un percorso virtuoso
Dal 1991, anno dell’indipendenza dall’ex Unione sovietica, l’Estonia ha attuato un rapida transizione all’economia di mercato, attraverso privatizzazioni e politiche liberali mirate ad attrarre investimenti esteri. I risultati non si sono fatti attendere: crescita ininterrotta e a ritmi elevati dal 1995 al 2007, fino alla crisi del biennio 2008-2009, culminata in un tonfo del Pil del 14,7% nel 2009. Da quella crisi Tallinn è uscita con un rigoroso percorso di risanamento, culminato nell’adozione dell’euro a partire dal 2011, in virtù di fondamentali che restano invidiabili: un surplus dello 0,4% e un debito pubblico del 9,7% nel 2015. E la crescita è ripartita, anche se negli ultimi anni – non solo nel 2015 – ha rallentato il suo ritmo. Non abbastanza per migliorare lo standard di vita del Paese secondo alcuni analisti, che mettono in discussione un modello incentrato sull’export e quindi troppo vulnerabile a shock esterni.
Una tesi che qualche mese l’ormai ex primo ministro, Taavi Roivas, respingeva. «Siamo partiti da livelli molto bassi – dichiarava qualche al Sole 24 Ore, durante una visita a Milano per la chiusura di Expo – ed è logico che la crescita sia stata inizialmente (dopo l’indipendenza, ndr) molto rapida, grazie alla modernizzazione e alle riforme attuate. Io credo inoltre che per un’economia piccola essere aperta ed export oriented (e orientata agli investimenti diretti esteri) sia una cosa positiva, considerando che il mercato interno (1,2 milioni di abitanti) non basta per spingere la crescita». Quanto all’attrattività del Paese, il premier non aveva dubbi: «Abbiamo un business climate tra i migliori in Europa, testimoniato da diversi riconoscimenti, da Doing Business a Heritage Foundation. Sempre meno burocrazia, tasse basse e un livello di indebitamento che non obbliga ad alzarle per rimborsare gli interessi sul debito pubblico: questo manda un segnale molto forte agli investitori. Anche lo sviluppo dell’ICT può spingere la crescita: pensiamo all’uso della firma digitale, che ci fa risparmiare il 2% del Pil ogni anno. Non siamo ancora al livello di vita che vorremmo, ma in due anni siamo passati dal 53% al 73% della media Ue (in termini di Pil pro capite, ndr)».
La struttura dell’economia estone
L’Estonia oggi è un Paese sempre meno agricolo e più incentrato sui servizi. Secondo le stime dell’Ambasciata italiana a Tallinn il terziario vale oggi due terzi della produzione, mentre la quota di agricoltura e pesca è scesa dal 20% del 1989 al 3% nel 2015 (la quota relativa all’industria, circa un terzo del Pil, è rimasta sostanzialmente costante dalla metà degli anni Novanta).
Nel 2015 il volume delle esportazioni si è attestato a 11,6 miliardi e i settori trainanti sono stati macchine e apparecchi, materiale elettrico, legno e derivati, minerali. Le principali destinazioni sono state Svezia, Finlandia e Lettonia, quarta la Russia che ha registrato una flessione del 34,7 per cento. Anche tra le importazioni (13,1 miliardi in tutto nel 2015), dominano macchine e apparecchi, materiale elettrico e prodotti minerali, con Finlandia, Germania e Lituania primi Paesi fornitori. Buona rimane la capacità di attrarre gli investimenti diretti esteri (+7% nel 2015), nonostante le dimensioni ridotte del mercato.
Il rapporto con l’Italia
L’interscambio bilaterale, che dopo la crisi del 2008-2009 aveva registrato un trend di crescita, ha subito nel 2015 la flessione dell’intero import-export estone. Esportiamo, in termini di valore, soprattutto macchine e apparecchi, materiale elettrico, metalli e prodotti tessili; occupiamo il ventesimo posto nella graduatoria degli Ide.
Ci sono, per un’impresa italiana interessata a investire in Estonia, alcune criticità da considerare: oltre a quella geopolitica legata ai rapporti con la Russia, le già citate dimensioni ridotte del mercato, la dipendenza dai mercati esteri, un tenore di vita medio ancora non elevato e un mercato del lavoro su cui pesano l’insufficienza di manodopera qualificata e salari superiori alla produttività, anche se non elevati in assoluto (la retribuzione mensile lorda media nel 2015 è stata di 1.065 euro).
Non mancano però una serie di vantaggi, a cominciare dalla posizione geografica – fattore comune, questo, alle repubbliche baltiche – che rendono l’Estonia un possibile punto di partenza per la penetrazione nei mercati circostanti, da quello russo ai Paesi scandinavi o dell’Europa orientale. Ci sono poi la stabilità politica, un sistema impositivo favorevole (si veda per questo punto la guida al mercato). un ottimo business climate, la diffusione della lingua inglese e, in maniera più ridotta, anche italiana. Infine, ed è forse uno degli aspetti più interessanti, l’Estonia è uno dei Paesi più avanzati nel settore ICT (che è anche uno di quelli in cui gli investimenti appaiono più promettenti).
La scommessa dell’e-residency
Su questo fronte occorre citare non solo la diffusione capillare di internet, utilizzato a tutti i livelli grazie a una piena digitalizzazione di servizi e procedure, con vantaggi e ripercussioni anche sull’attività di impresa (si può per esempio avviare un’attività online, con tempi molto rapidi: 4,5 giorni in media secondo Doing Business 2015); il governo ha lanciato circa un anno e mezzo fa l’ambizioso progetto di e-residency. Si tratta in sostanza della possibilità, concessa agli stranieri che ne facciano richiesta e abbiano i requisiti necessari, di ottenere una residenza elettronica “virtuale”. Non una vera residenza con tutti i diritti concessi al cittadino, a cominciare dal voto, ma una chiave d’accesso all’autostrada digitale estone. Un imprenditore interessato al mercato estone – la principale anche se non unica categoria a cui è mirata l’iniziativa: ci sono per esempio anche gli studenti - può dunque gestire la sua attività a distanza, mantenendo la residenza all’estero, grazie appunto all’elevato livello di digitalizzazione delle procedure, dalla firma alla finalizzazione dei contratti, fino alle operazioni bancarie.
A fine febbraio 2016, secondo i dati di Enterprise Estonia citati dall’Ambasciata italiana, i residenti virtuali erano circa 9mila. In testa finlandesi, russi e americani; a sorpresa quarta (con 491 richieste accettate) l’Italia.