Uscita nel 1991 dal periodo di dominazione sovietica con un sistema partitico nuovo e un quadro politico ancora instabile, nell’ultimo decennio l’Estonia ha raggiunto livelli di stabilità considerevoli, sostanzialmente confermati anche dall’esito delle ultime elezioni politiche del marzo 2015.
Il Partito riformista del premier Taavi Roivas è risultato ancora una volta il più votato, con il 28,6% dei consensi, il che ha permesso alla formazione liberale moderata di guidare per la terza volta consecutiva una coalizione di governo, in questo caso con i socialdemocratici (17,1%) e l’Unione Pro Patria/Res Publica (centrodestra). Un’alleanza che garantiva all’esecutivo 59 seggi su 101, una maggioranza leggermente superiore a quella della scorsa legislatura, tale da far ritenere a osservatori e analisti politici che sarebbe durata fino alla fine della legislatura, fissata nel 2019.
La sfiducia votata dai due membri di minoranza della coalizione, in dissenso sulle linee di politica economica, ha invece fatto cadere il governo, avviando nuove consultazioni, che hanno portato a una nuova compagine imperniata sul principale gruppo di opposizione, il Partito di Centro (23,3% di consensi), guidato dal nuovo leader Jüri Ratas. Si tratta di un movimento portatore delle istanze della consistente minoranza russofona (circa il 25% della popolazione) non perfettamente integrata, retaggio della “restaurazione” seguita all’indipendenza dall’ex Unione sovietica, che aveva invece concesso uno status privilegiato ai russi stabilitisi in Estonia
Leader indiscusso di questa formazione - e al tempo stesso controverso - è stato per anni il sindaco di Tallinn, Edgar Savisaar, che aveva stabilito un accordo formale di cooperazione con Russia Unita, il partito del presidente russo Vladimir Putin, in tempi in cui l’Estonia guarda alle presunte mire espansionistiche di Mosca con preoccupazione e sospetto. E sebbene ora la sua uscita di scena sembri portare il gruppo politico su posizioni meno distanti da quelle tradizionali della politica estone, il nuovo governo ha suscitato qualche perplessità, anche se - come segno di continuità - ne fanno ancora parte il partito socialdemocratico e l’Unione Pro Patria-Res Publica.
Un altro fattore di potenziale instabilità nel panorama politico estone è l’ingresso per la prima volta in Parlamento del Partito conservatore, formazione nazionalista ed euroscettica che, tuttavia, non ha i numeri al momento per incidere sull’orientamento del Paese. L’Estonia del resto fa parte di tutte le principali organizzazioni internazionali: nell’Unione europea è entrata nel 2004, lo stesso anno di adesione alla Nato; dal 2011 ha adottato l’euro.
Un capitolo a sé merita l’appartenenza all’Alleanza Atlantica, considerata da Tallinn una garanzia contro le possibili mire espansionistiche della Russia. La questione si è fatta più delicata negli ultimi due anni, con l’esplosione della crisi ucraina. Tallinn ha lamentato ripetute violazioni del suo spazio aereo da parte di velivoli russi e situazioni di potenziale rischio, rispondendo a sua volta con un incremento delle spese per la difesa (è uno dei pochi membri Nato a rispettare il requisito del 2% del Pil destinato alla difesa) ed esercitazioni sul territorio giudicate a loro volta provocazioni dai russi; i due Paesi sono stati protagonisti di una crisi diplomatica con il cosiddetto “caso Khover”, l’arresto nel settembre 2014 di un funzionario dei servizi di sicurezza estoni al confine con la Russia, condannato poi a 15 anni di carcere per spionaggio e rilasciato in cambio della liberazione di un funzionario russo; e Tallinn, insieme agli altri Baltici, chiede con convinzione il rafforzamento della Nato sul suo territorio, con l’invio di truppe. Il tema è stato discusso al vertice dell’Alleanza Atlantica dell’8 e 9 luglio scorsi in Polonia.