Nel 2016 il Pil della Lettonia è cresciuto dell’1,6%: una performance discreta anche se inferiore al 2015. Meglio dovrebbe andare, secondo le stime della Commissione europea, quest’anno (+2,8%), a conferma del ritrovato passo dell’economia baltica dopo la grave crisi del 2008-2010 (costata una flessione complessiva vicina al 24% del prodotto interno lordo), nonostante l’impatto della guerra commerciale tra Russia e Unione europea.
Il Paese sembra dunque essersi incanalato su una traiettoria di crescita moderata, dopo gli alti e bassi di Pil e reddito pro capite che avevano caratterizzato il primo decennio del nuovo millennio.
Dall’indipendenza alla bolla
I primi anni dopo l’uscita dall’orbita sovietica non furono facili per l’economia lettone, messa alla prova da riforme radicali e privatizzazioni complesse viste le dimensioni delle maggiori imprese manifatturiere. I livelli di disoccupazione erano alti, come pure l’inflazione, e il collasso di diverse banche commerciali attorno alla metà degli anni 90 travolse i risparmi di molti. Verso la metà degli anni Duemila, però, il Paese intraprese una fase di crescita sempre più sostenuta, fino al +10-12% del 2005-2006, alimentata però dal boom del settore immobiliare e dei consumi, favoriti dal credito a buon mercato. Erano, purtroppo, i classici ingredienti della bolla, sperimentati anche altrove in Europa, a cui fecero seguito il fallimento della Parex Bank, il dissesto dei conti pubblici e - a fine 2008, con il Paese sull’orlo della bancarotta, la richiesta di aiuti internazionali, poi concessi (7 miliardi) da un consorzio a guida Fmi.
Il risanamento “lacrime e sangue” di Dombrovskis
In cambio Riga si impegnava ad attuare un durissimo piano di risanamento, di cui si fece carico un giovane premier chiamato dalll’allora presidente Valdis Zatlers: l’attuale vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis. Gli anni dal 2009 al 2011 sono stati per la Lettonia un periodo di pesantissime misure di austerity: tagli a stipendi pubblici e pensioni (quest’ultimo poi dichiarato incostituzionale), licenziamento di un terzo dei dipendenti pubblici e stipendi ridotti del 30% a quelli rimasti, drastica riduzione della spesa per welfare e sanità.
Da quella fase, in cui la Lettonia ha saputo dimostrare oltre ogni aspettativa di saper “fare i compiti”, il Paese è uscito con conti pubblici risanati: il deficit era l’anno scorso appena all’1,3% e il debito, pur appesantito dal fardello della crisi, si attestava nel 2015 al 36,4%. I segni di quel piano “lacrime e sangue” sono però ancora visibili nel tasso di disoccupazione che sfiora il 10% , nel consistente flusso migratorio (si stima che negli ultimi dieci anni siano emigrate tra le 150mila e le 200mila persone, ossia il 10% della popolazione), in redditi ancora bassi e in un livello di diseguaglianza sociale che è il più elevato nella Ue.
Il peso delle sanzioni incrociate
Per l’economia lettone ormai ripartita l’intoppo degli ultimi anni sono state le sanzioni incrociate Russia-Ue seguite alla crisi ucraina, come conferma l’ambasciatore italiano a Riga Sebastiano Fulci: «Alle sanzioni Ue la Russia ha risposto con un embargo commerciale che ha pesato in particolare sulle economie dei Paesi che con la Russia condividono i confini e ne sono in gran parte dipendenti sotto il profilo energetico, come i Baltici. Il settore che sofferto più degli altri è stato quello agricolo, in particolare per la Lettonia il mercato lattiero-caseario. Venendo a mancare il principale mercato di sbocco, si è registrato un crollo sostanziale delle vendite, che ha reso l’offerta spropositata. La conseguenza è stato il crollo dei prezzi. Moltissime aziende agricole sono state costrette a chiudere i battenti e altre sono state salvate solo grazie ad un intervento combinato pubblico-privato».
La struttura dell’economia lettone
La Lettonia ha un’economia piccola (gli abitanti sono circa due milioni), aperta e, di conseguenza, dipendente da export e investimenti diretti esteri, anche se nel 2015 a fare da traino è stata la domanda interna, che ha contenuto i contraccolpi della crisi con Mosca. E consumi e investimenti, stando alle ultime previsioni della Commissione Ue, dovrebbero accelerare ulteriormente quest’anno.
«La composizione del Pil lettone – spiega ancora l’ambasciatore Fulci – è caratterizzata da una netta predominanza del settore terziario (75%) rispetto ai settori primario (4%) e secondario (14%). Il governo – aggiunge però – ha cercato di promuovere il settore industriale, facilitando la creazione di nuove imprese, soprattutto Pmi, che rappresentano quasi il 98% della struttura produttiva del Paese. Nel quadro di tale politica, la Lettonia ha ratificato la “Carta europea per le piccole imprese” e adottato una strategia di agevolazioni».
I principali partner commerciali di Riga rimangono i Paesi vicini. Così primi destinatari dell’export sono, nell’ordine, Lituania, Estonia, Russia, Germania, Polonia e Svezia, primi fornitori ancora Lituania, Germania, Polonia, Russia ed Estonia.
La presenza italiana, pro e contro del mercato lettone
L’interesse per l’Italia e per la cultura italiana non mancano e appaiono in crescita gli studenti italiani che completano gli studi in Lettonia, meno sviluppata è la presenza di attori economici nostrani. «Mi sono reso conto – racconta l’ambasciatore, insediatosi a Riga nell’ottobre 2015 – della necessità di promuovere il “made in Italy”. Purtroppo sono più di sei anni (dalla chiusura dell’antenna Ice a Riga) che questo non avviene ad opera delle istituzioni italiane. Per questo ho deciso di sostenere i prodotti del nostro Paese in eventi promozionali di rilievo, come Riga Wine and Champagne, Riga Fashion Week, Riga Food e Baltour, dedicato al turismo. Visto le scetticismo di molte imprese italiane ad affacciarsi a un mercato spesso considerato piccolo e poco attraente (a torto, perché le fiere citate sono leader dell’intera regione baltica), non è facile convincerle a investirvi un minimo di risorse».
Ma quali sono i vantaggi e le opportunità per chi vuole investire o esportare in Lettonia. A rispondere è ancora l’ambasciatore Fulci: «Basta osservare le principali importazioni che caratterizzano oggi l’economia lettone (macchinari e apparecchiature elettriche e meccaniche, mezzi di trasporto e accessori, prodotti farmaceutici, prodotti del settore plastico e derivati, bevande) per comprendere come l’assenza di offerta locale in tali settori merceologici possa essere uno stimolo per il ricorso all’elevato know-how italiano. Occorre inoltre tenere presenti i bassi salari della manodopera lettone (in media 560 euro a inizio 2015 al netto di imposte e contributi), i costi ridotti dell’energia, nonché il rating molto positivo del Paese. Infine, c’ci sono la bassa imposizione fiscale (si veda la guida al mercato, ndr), l’elevato traffico dell’aeroporto di Riga (il più grande dei Baltici) con voli quasi quotidiani per Roma e Milano, nonché il fatto che Riga sia il maggior porto della Ue più vicino a Mosca».
Tra le ombre, oltre alla dipendenza da shock esterni e alle dimensioni del mercato, occorre citare la corruzione – la lotta intrapresa dal governo ha ottenuto finora buoni risultati contro la corruzione delle amministrazioni, meno efficaci contro quella politica di più alto livello – e un peso ancora rilevante dell’economia sommersa, alimentata dai cosiddetti “oligarchi” lettoni. Il settore del credito infine – l’osservazione è di una recente richiesta di Euler Hermes – presenta ancora qualche vulnerabilità.