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RAPPORTO PAESE | Lettonia

Stabilità ritrovata e integrazione con l’Occidente

Il nodo sono i rapporti con l’ampia minoranza russofona e le tensioni con Mosca

Riconquistata l'indipendenza nel 1991, la Lettonia ha vissuto quasi due decenni di instabilità politica, figli di un sistema partitico frammentato e in parte retaggio della polarizzazione venutasi a creare negli ultimi anni del dominio sovietico: da una parte i partiti nazionalisti lettoni, dall'altra quelli che erano espressione della consistente minoranza russofona. A dimostrazione di questa instabilità, dal 1993 ad oggi si sono contate nove elezioni e la vita media dei governi è stata di circa 12 mesi.

A complicare il quadro si aggiunge quella che la Fondazione Bertelsmann Stiftung definisce la “volatilità” dei voti, ossia la scarsa fidelizzazione degli elettori nei confronti dei partiti, forse dovuta allo scarso radicamento dei movimenti politici nella società lettone, testimoniato dal fatto che appena l'1% degli aventi diritto al voto è tesserato in un partito.

Un quadro in via di stabilizzazione
Il quadro però è cambiato negli ultimi anni, come testimonia l’ambasciatore italiano a Riga, Sebastiano Fulci. «Il Paese – nota – sembra attraversare al momento una fase di stabilità politica, che sta permettendo al primo ministro di porre in essere le numerose riforme sollecitate dall’Ocse e dall’Unione europea, necessarie per la crescita sociale ed economica della Lettonia».
A guidare il nuovo governo, nato nel febbraio di quest’anno, è Maris Kučinskis, che ha rimpiazzato Laimdota Strajuma, dimissionaria in seguito ai contrasti interni al suo Partito dell’Unità; guida la stessa coalizione dell’esecutivo precedente: due partiti di centrodestra – l’Unione dei Verdi e degli Agricoltori e il Partito dell’Unità – e i conservatori dell’Alleanza nazionale, che possono contare insieme su 61 dei 100 seggi parlamentari. «La maggioranza – spiega ancora l’ambasciatore – è rimasta la stessa negli ultimi anni ed è frutto di una travagliata intesa tra i partiti della coalizione. L’Unione dei Verdi e degli Agricoltori è tuttavia diventata in questo nuovo esecutivo – grazie alla nomina del suo leader a primo ministro e l’incremento di dicasteri controllati – il partito di riferimento, a discapito dell’Unità, che ha perso posizioni soprattutto a causa di diatribe intestine, collegate in parte al drammatico calo della sua popolarità».

Il partito uscito con più voti dalle elezioni del 2014 non è in realtà nessuno dei tre che formano la compagine di governo, ma il partito socialdemocratico Concordia, punto di riferimento dell’ampia minoranza russofona del Paese, escluso tuttavia dal governo per ragioni ideologiche (i partiti di governo sono di centrodestra) e di posizionamento nei confronti dell’etnia russa e della Russia stessa.

I rapporti con la minoranza russofona
È questo il principale nodo con cui il quadro politico lettone deve fare i conti. Nel Paese gli abitanti di etnia russa sono un’ampia minoranza, più del 25%, i russofoni ancora di più (quasi il 35%) se si aggiungono le altre minoranze che hanno adottato il russo come prima lingua; le ferite del periodo sovietico e della “russificazione” imposta in quegli anni, tuttavia, non si sono ancora rimarginate.
La legge varata dopo l’indipendenza negava la cittadinanza ai 700mila russofoni traferitisi in Lettonia quando il Paese era parte dell’ex Urss; poi, anche su pressioni esterne e con l’ingresso di Riga in diverse organizzazioni internazionali, la posizione si è ammordibita ed è diventato possibile diventare cittadini sostenendo un esame per dimostrare la conoscenza di lingua e cultura lettoni. Ancora oggi però il 14% della popolazione lettone è priva di cittadinanza e non può esercitare il diritto di voto. L’integrazione fa progressi ma è molto lenta: persistono due comunità distinte (i russi sono concentrati nella regione sudorientale del Latgale, una delle più povere della Ue, ma sono numerosi anche nella capitale Riga), con giornali diversi, televisioni e radio differenti. Nel 2012 un referendum ha bocciato la possibilità di adottare il russo come seconda lingua ufficiale.

Le tensioni internazionali con la Russia, ovviamente, non aiutano, come spiega ancora l’ambasciatore Fulci: «Se da un lato la tensione fra la popolazione locale e le comunità russofone si è gradualmente andata attenuando negli anni – chiarisce - dall’altro rimangono abbastanza freddi i rapporti fra il governo di Kucinskis e il Cremlino. Inevitabilmente, le frizioni con Mosca pesano ancora molto nelle decisioni di politica interna ed estera dell’esecutivo lettone. I rapporti non idilliaci fra i due Paesi e le provocazioni russe (anche sotto forma di propaganda anti-lettone), hanno indotto il governo di Riga a chiedere una maggiore presenza militare della Nato. Non a caso in occasione delle presentazioni delle mie credenziali il presidente Vejonis ha sottolineato la propria gratitudine all’Italia per avere assicurato sino all’agosto 2015 otto mesi consecutivi di air-policing dei cieli baltici (la difesa dello spazio aereo affidata all’Alleanza, ndr), mentre tali operazioni durano solitamente 3 mesi), nonché per il sostegno al Centro di Eccellenza Nato di Riga, denominato Stratcom (competente nel monitorare e svelare al pubblico le operazioni di propaganda per lo più russe), assicurato dalla guida italiana di una delle 4 direzioni operative».
Le tensioni geopolitiche spiegano anche l’aumento della spesa militare lettone, che supera oggi l’1,6& del Pil ed è destinata a raggiungere il 2% nel 2018.

L’integrazione con l’Occidente
Pur con gli avvicendamenti di governo sopra citati, la Lettonia ha perseguito dall’indipendenza in poi un percorso di progressiva integrazione nelle principali organizzazioni internazionali: non solo la Nato nel 2004, sempre più vissuta come una garanzia contro i timori di espansionismo russo, ma l’Onu, già nel 1991, la Ue sempre nel 2004, lo Spazio Schengen nel 2007, l’Eurozona nel 2014. È imminente, infine, l’ingresso nell’Ocse che, come sottolinea l’ambasciatore Fulci «ha impartito un notevole impulso all’attività politica, sociale ed economica, che sta culminando in numerosissime riforme nell’ambito della sanità, dell’educazione, del welfare e della sicurezza».
Riforme importanti per il Paese e a lungo trascurate che ora, grazie anche allo stimolo esterno, potrebbero finalmente venire realizzate.

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